Italia bocciata dall’UE, il direttore scientifico della Simit: «Nel nostro Paese c’è un vero e proprio abuso di antibiotici che causa più di 10mila morti ogni anno». Nel PNRR previsto un piano straordinario di “formazione sulle infezioni ospedaliere”
Dall’inizio della pandemia oltre 5 milioni di persone, nel mondo, hanno perso la vita a causa del Covid-19. «Entro il 2050 l’antibiotico resistenza ne potrebbe causare il doppio, diventando la prima causa di morte nel mondo». A mettere in guardia dai pericoli derivanti dalla resistenza agli antibiotici, richiamando le stime diffuse dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, è Massimo Andreoni, direttore scientifico della Simit, la Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali, e professore ordinario di Malattie Infettive alla facoltà di Medicina e Chirurgia dell’università di Roma Tor Vergata.
«Si tratta di un grande problema per il mondo e per l’Europa, ma di un enorme problema per l’Italia. Solo nel nostro Paese più di 10mila persone perdono la vita, ogni anno, per colpa dell’antibiotico resistenza. L’Italia è uno dei Paesi che registra il maggior uso, o meglio abuso, di antibiotici», aggiunge Andreoni. L’antibiotico resistenza non colpisce soltanto l’essere umano, ma anche l’ambiente nel quale viviamo e il mondo animale. «Il tutto – sottolinea l’infettivologo – aggravato da un passaggio continuo di germi dall’uomo, all’ambiente, agli animali».
Se il problema è globale, la risoluzione deve essere altrettanto generale. «Dobbiamo controllare, ma anche educare – dice il professore -. Controllare che non si esageri con l’utilizzo di antibiotici per l’allevamento degli animali. Monitorare la diffusione dei germi negli ambienti ospedalieri, nelle RSA che ospitano gli anziani, ma anche nel territorio. Questi germi multiresistenti si trovano, ormai, anche nelle case dei pazienti. Sarebbe necessario creare delle figure sanitarie ad hoc, come l’infermiere epidemiologo, incaricato di controllare come questi germi si propagano e in che modo passano da persona a persona o dal personale sanitario ai malati. Un ruolo fondamentale che, purtroppo, nelle strutture sanitarie italiane non è ancora presente. Anche i controlli più serrati ed efficaci sarebbero vanificati senza una corretta educazione all’utilizzo degli antibiotici: sono farmaci presenti nelle case di tutti e troppo spesso assunti senza controllo medico».
Nel 2017 la Commissione del Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC) ha verificato le modalità di utilizzo degli antibiotici in Italia. «Dalla relazione finale è emersa una situazione devastante, che sembra senza possibilità di recupero – racconta Andreoni -. L’Europa ha accusato l’Italia di avere un atteggiamento passivo, quasi di accondiscendenza, verso questo enorme problema. Ma quest’anno, a 4 anni dal giudizio negativo espresso dall’Europa, l’Italia ha programmato, all’interno del PNRR, degli interventi per contrastare l’antibiotico resistenza». Una quota della cifra stanziata per “formazione, ricerca scientifica e trasferimento tecnologico”, un miliardo e 260 milioni di euro, sarà dedicata ad “un piano straordinario di formazione sulle infezioni ospedaliere” a cui dovranno prendere parte 150mila professionisti entro la fine del 2024 e 140mila entro la metà del 2026.
L’antibiotico resistenza non è un problema recente: «Sono ormai decenni che conviviamo con questo problema: è difficile datare il momento storico preciso in cui tutto ciò ha avuto inizio», spiega lo specialista. Di certo, che gli antibiotici potessero celare un pericolo lo sapevamo già da oltre mezzo secolo, più precisamente dal 1945, anno in cui Alexander Fleming ha ricevuto il premio Nobel per la scoperta della Penicillina. «Durante il suo discorso alla consegna dell’onorificenza, Fleming avvertì che lo sviluppo dell’antibiotico resistenza sarebbe diventato un problema inevitabile, poiché le persone avrebbero mal utilizzato gli antibiotici. Questa sua previsione, nel tempo – conclude Andreoni – si è, purtroppo, realizzata».
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