Lo studio del Global Hygiene Council: «Migliorando le pratiche igieniche si riducono infezioni e costi per la sanità pubblica. E si combatte la resistenza agli antibiotici»
Il dato è allarmante: in alcuni paesi, entro il 2030, il tasso di resistenza agli antibiotici più comuni dovrebbe assestarsi intorno al 40-60%; ad oggi, il 35% delle principali infezioni è già resistente agli antibiotici. Sono numeri che vengono comunicati in uno studio dal Global Hygiene Council tramite il suo panel di esperti in sanità pubblica e resistenza antibiotica.
Il fenomeno dell’antibiotico-resistenza viene definito come «uno dei principali pericoli degli anni a venire» in sanità e sarebbe «nelle condizioni di mietere fino a 10 milioni di vittime entro il 2050 se non vengono poste in essere delle azioni decise». Gli esperti del GHC, per intervenire su questa emergenza, «chiedono che vengano revisionate le pratiche di igiene nelle abitazioni dei cittadini e nella vita quotidiana, per assicurarsi che esse siano efficaci e tarate sugli urgenti problemi di salute pubblica che ci troviamo ad affrontare».
Pare infatti, scrivono gli esperti GHC, che «una migliore igiene nelle nostre case e nella nostra vita quotidiana giochi un ruolo essenziale nell’affrontare il problema dell’antibiotico-resistenza». Come? «L’igiene previene l’antibiotico-resistenza in due modi – spiegano gli esperti -. Prevenendo le infezioni, così da ridurre il bisogno di assumere antibiotici da un lato; dall’altro impedendo che le persone diffondano infezioni che sono antibiotico-resistenti».
Si tratta di pratiche comuni che però, se correttamente implementate, possono fare la differenza: «Uno studio ha dimostrato che migliorare l’igiene delle mani in un gruppo di bambini in un centro diurno può ridurre il bisogno di antibiotici per le infezioni respiratorie comuni fino al 30%».
Quanto consigliato dal GHC ha a che fare, sostanzialmente, con un cambio di approccio nell’igiene domestica. Non serve una maniacalità nella pulizia della casa, serve piuttosto quello che viene definito un “Targeted hygiene approach”. Spiega la professoressa Sally Bloomfield, esperta di salute pubblica: «Dobbiamo concentrarci sui tempi e sui luoghi in cui i microbi dannosi si diffondono con maggiore probabilità, non solo per limitare la diffusione del coronavirus, ma anche per contribuire ad arginare l’antibiotico-resistenza». Ed il fenomeno involontario di educazione collettiva conseguente al Covid-19, che ha portato tutti ad esempio ad imparare l’importanza di avere le mani pulite, può essere di grande aiuto in questa fase.
Una corretta pratica igienica, si legge infatti nel manifesto diffuso dal Global Hygiene Council, è in grado di fermare malattie «ad alto impatto comunitario» come «raffreddori, influenze, infezioni gastrointestinali, infezioni della pelle, diarrea». L’80% dei casi di salmonella si contrae fra le mura domestiche. Un’igiene attenta può ridurre del 50% questo tipo di patologie. Fra l’altro, conclude il materiale messo a disposizione dal GHC, un’aumentata attenzione all’igiene personale e domestica può far risparmiare fino a 138 milioni di dollari «solo negli Stati Uniti».
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