Al San Paolo di Milano, uno dei 17 centri della Lombardia autorizzati da Aifa per il trattamento, la professoressa D’Arminio Monforte chiede aiuto ai colleghi di medicina generale per velocizzare i tempi, non affollare il pronto soccorso e attuare la procedura che sta dando ottimi risultati
«Faccio un appello ai medici di medicina generale affinché ci segnalino i pazienti positivi al Covid considerati a rischio, ovvero anziani, con comorbidità o neoplastici. È sufficiente che contattino il centro di malattie infettive dell’ospedale affinché il paziente, dopo la verifica dei criteri, possa rientrare nella categoria degli aventi diritto agli anticorpi monoclonali».
Il messaggio arriva dalla professoressa Antonella D’Arminio Monforte, che dirige il reparto di malattie infettive dell’ospedale San Paolo di Milano, uno dei 17 centri lombardi individuati per attivare il percorso di cura anti-Covid con gli anticorpi monoclonali.
«Rientriamo nel programma di distribuzione di anticorpi monoclonali da parte di Aifa e pertanto li utilizziamo in due diverse associazioni – spiega la professoressa D’Arminio Monforte -. Importante è che ciò avvenga nella fase iniziale della malattia da Covid perché gli anticorpi agiscono come antivirali e sappiamo che in quel momento il virus replica ed entra nelle cellule. Gli anticorpi ne bloccano l’ingresso. Una volta avviato il processo poi tutta una serie di reazioni dipendono dal sistema immunitario del paziente».
La tempistica è fondamentale, quindi la collaborazione con i medici di medicina generale auspicata dal San Paolo permetterebbe di velocizzare tempi, evitare affollamenti nel pronto soccorso e soprattutto individuare i candidati idonei alla terapia.
«Prima si attiva il trattamento meglio è per i soggetti che non sono ospedalizzati e non richiedono l’uso di ossigeno, ma sono a rischio di sviluppare una sintomatologia più grave e un quadro di insufficienza respiratoria nei giorni a seguire – riprende l’infettivologa del San Paolo -. Tenendo presente che il costo degli anticorpi monoclonali è elevato, possono beneficiarne coloro che hanno una forma lieve e le caratteristiche individuali di rischio di progressione della malattia come: soggetti con diabete scompensato, cardiopatia grave, immunodeficienza legata a terapie antineoplastiche o con immunodeficienza primitiva o secondaria, pazienti dializzati o anziani con una grave patologia preesistente».
«Oggi abbiamo contatti con i medici di base della zona, ma è soprattutto il lavoro dell’infettivologo chiamato al pronto soccorso ad essere decisivo – continua -. I pazienti che non necessitano ospedalizzazione con un quadro iniziale di danno polmonare vengono valutati per fattori di rischio eventuali di progressione e se rientrano nei criteri Aifa vengono indirizzati in una parte dell’ospedale dove avviene il trattamento ambulatoriale».
La procedura da effettuarsi su soggetti non ricoverati richiede infatti un day hospital, pertanto i candidati alla cura con anticorpi monoclonali vengono trasferiti nella cosiddetta zona sporca dove ricevono l’infusione. «I pazienti sono contagiosi ed allora abbiamo attrezzato nel reparto di degenza Covid un’area ambulatoriale con un percorso esterno in modo da salvaguardare le zone pulite all’interno dell’ospedale. Il trattamento consiste in una prima serie di esami per valutare lo stato di salute del paziente, a seguire si procede con l’infusione per via endovenosa della durata di un’ora, che è unica, e a seguire il paziente resta in osservazione per altri 60 minuti. I soggetti trattati tollerano benissimo gli anticorpi monoclonali, ma per procedura interna abbiamo stabilito di rivederli a distanza di tre e sette giorni, salvo ovviamente complicazioni, ma devo dire che tutti i casi trattati a partire dal terzo giorno hanno ripreso forza e si sono sentiti bene».
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