«L’approccio geriatrico è un modo diverso di curare il paziente anziano» ha spiegato ai microfoni di Sanità Informazione, Andrea Ungar professore associato di Medicina Interna e Geriatria all’Università di Firenze, intervenuto al convegno “Presa in carico assistenziale e terapeutica del paziente anziano”
Prendersi cura del paziente anziano tenendo conto della sua salute complessiva, senza fare a meno di una corretta prevenzione. Sono i consigli di Andrea Ungar, geriatra all’Ospedale Careggi e professore associato di Medicina Interna e Geriatria all’Università di Firenze. Lo abbiamo incontrato al convegno “Presa in carico assistenziale e terapeutica del paziente anziano” organizzato a Roma da Onda, Osservatorio Nazionale sulla salute della donna e di genere, e Daiichi Sankyo.
Parliamo della presa in carico assistenziale e terapeutica del paziente anziano, un tema di grande attualità. La prevenzione che ruolo può giocare?
«Per quanto riguarda la prevenzione sappiamo molto bene che non finisce con i giovani. La prevenzione ha una grande efficacia anche nell’anziano, anche se magari va motivata in maniera leggermente diversa. Facciamo un piccolo esempio: camminare a passo veloce fa benissimo anche sopra i 65 e i 75 anni. La prevenzione generale, la prevenzione cardiovascolare sono assolutamente efficaci anche nel paziente anziano, anzi dobbiamo assolutamente combattere quello che è il concetto di ageismo, cioè il concetto di dire: vabbè hai 70 anni, hai 80 anni, allora finisce qui. Assolutamente no, si può migliorare, si può prevenire anche in età avanzata».
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Spesso i pazienti anziani presentano un quadro clinico complesso, che consiglio darebbe ai geriatri che si trovano ad affrontare un insieme di patologie compresenti?
«Per quanto riguarda la gestione del paziente, il paziente con tante malattie, ci sono vari aspetti importanti, ma ne sottolineerei due. Il primo è che un buon geriatra deve essere un buon medico e quindi deve vedere il paziente a tutto tondo, non può guardare solo quella patologia per la quale il paziente arriva, deve sapere quantomeno inquadrare bene le altre malattie, anche da un punto di vista medico. Il geriatra deve dire “questo paziente lo curo io”. Deve sentirsi la responsabilità di curare quel paziente in toto e non a pezzetti, altrimenti non va da nessuna parte. Il pezzetto lo curano gli specialisti, noi dobbiamo prendere in mano il malato».
«In secondo luogo, il geriatra non deve guardare solo alla malattia. Deve gestire il paziente, curare le malattie per dare funzione al proprio paziente, cioè mantenerlo autonomo. Se io curo bene una malattia, ma gli riduco la capacità di camminare, gli riduco la capacità di uscire, perché magari il farmaco gli dà problemi in qualche modo, io non faccio del bene al paziente anziano. La prognosi del paziente anziano la fa la funzione. Quindi, la cura nostra, anche in ospedale, deve essere tutta mirata al recupero e al mantenimento della funzione. Sembrano chiacchiere, ma in realtà cambiano l’ottica della gestione. Voglio che il malato sia autonomo nella sua vita, vada fuori, che sia lucido, che non cada. Questo è importante, non tanto che la glicemia a 91 anni sia esattamente sotto i 110, perché se per portarla sotto i 110 il paziente ha effetti collaterali, non gli ho fatto bene. L’approccio geriatrico è un modo diverso di curare il paziente anziano rispetto ai normali canoni e questo purtroppo lo sappiamo da tanti anni, ma non riusciamo a metterlo in pratica. Ma quelli che lo capiscono più di tutti sono i pazienti. Quando ti arriva un paziente e lo gestisci così, quel paziente ti rimane legato, perché capisce che stai facendo un lavoro diverso rispetto a quello che hanno fatto gli altri fino a quel momento».