Il test dell’ADAMTS13 è indispensabile alla diagnosi e al monitoraggio della patologia ma la diffusione in Italia è a macchia di leopardo e costringe malati e caregiver a una faticosa mobilità sanitaria. Isabella Cecchini (IQVIA Italia) illustra i risultati dell’analisi effettuata su 74 persone con aTTP da tutta Italia
Si chiama porpora trombotica trombocitopenica (TTP). Un nome difficile per una malattia ultra-rara. In Italia, si stima ci siano 200 nuovi casi ogni anno: mediamente, intorno ai 20-30 anni per le donne e ai 50-60 anni per gli uomini. Pur trattandosi di una patologia che può essere, purtroppo, anche mortale, non è trattata in tutta Italia in aderenza con le recenti linee guida definite nel 2021 su incarico dell’Istituto Superiore di Sanità.
Diagnosi in ritardo, follow up carenti e/o diversi da regione a regione impattano notevolmente sulla qualità della vita sociale, affettiva e lavorativa di chi ne soffre e di chi se ne prende cura, i cosiddetti caregiver. Coniugi, figli o addirittura genitori anziani. E, a questo, si aggiungono le tante spese a carico dei malati per i controlli e gli esami da sostenere, spesso, fuori regione.
Sappiamo che per individuare la Porpora Trombotica Trombocitopenica è fondamentale dosare l’ADAMTS13. Il test è importante per diagnosticare la malattia all’esordio ma anche per monitorare i pazienti nel corso del tempo e valutare la risposta alla terapia in atto. Un loro diritto, che però non è garantito in modo omogeneo in tutto il paese. Dipende, infatti, dalla vicinanza al centro che lo esegue.
A fotografare le maggiori criticità l’indagine di IQVIA a cui hanno partecipato 74 persone con aTTP da tutta Italia. «L’obiettivo di questa ricerca – ha detto Isabella Cecchini, Senior Principal Head of Primary Market Research di IQVIA Italia al nostro giornale – era quello di capire quanto la malattia impatta sulla qualità di vita. E quale è l’esperienza del test ADAMTS13, fondamentale sia per fare la diagnosi che per monitorare nel tempo la risposta della terapia».
Per quanto riguarda il primo tema, la qualità della vita «i risultati sono drammatici – spiega la dottoressa Cecchini. Le persone convivono faticosamente con questa malattia. L’80% circa dei malati ha una grande paura di una ricaduta che ha un impatto importante sia in termini fisici che psicologici. Teme gli effetti di fatica, memoria, ansia e depressione». La preoccupazione è maggiore in chi non viene monitorato regolarmente con il Test ADAMTS1. Dall’analisi di IQVIA Italia risulta che «il 49% delle persone intervistate ha avuto più episodi acuti nel corso della vita – aggiunge -. Il 70% ha avuto una ricaduta entro due anni (31% entro i primi 12 mesi) dal primo episodio».
Il test ADAMTS13 costa fino a 250 euro
Per quanto riguarda il test ADAMTS13, lo studio ha mostrato «una situazione frammentata sul territorio italiano. Non tutti hanno accesso al test, il test non è presente in tutte le regioni e non sempre viene utilizzato il test per la diagnosi ma soprattutto per il monitoraggio.
«Il 20% dei pazienti affetti da aPTT – prosegue la dottoressa Cecchini – è seguito da un centro fuori regione ed è costretto a spostarsi per i controlli ogni 4 o 6 mesi percorrendo mediamente 700 km. Il 91% ha effettuato il Test ADAMTS13 almeno una volta, ma il 20% lo ha eseguito solo in occasione di episodi acuti e non come strumento per il monitoraggio». Sono lunghi, inoltre, i tempi di attesa del referto del test. Mediamente 26 giorni, fino a 41 giorni se fatto fuori regione. «Addirittura, chi fa il test per il monitoraggio deve farsi carico dei costi relativi alla spedizione dei campioni. Una spesa media di 250 euro».
Il dosaggio dell’ADAMTS13 è fondamentale, lo ribadiscono gli esperti e lo hanno stabilito le linee guida del 2021. Ma la diffusione in Italia è a macchia di leopardo e costringe malati e caregiver a una faticosa mobilità sanitaria che appesantisce la qualità di vita oltre a gravare sulle loro tasche.
Il motivo per cui l’accesso al test non è disponibile per tutti è da ricercare nel fatto che questa prestazione non è stata ancora inserita nei LEA. Non è ancora, quindi, rimborsato dal SSN in maniera uniforme su tutto il territorio nazionale come richiesto dall’associazione ANPPT, presieduta da Massimo Chiaramonte.
Un altro dato importante che emerge dalla ricerca riguarda la soddisfazione per la presa in carico. «Solo il 50% dà una valutazione molto positiva della sua esperienza di presa in carico e cura. Circa il 50% – continua la dottoressa Cecchini – mostra una scarsa soddisfazione per la presa in carico e richiede un maggior coinvolgimento multidisciplinare, una maggiore integrazione tra i clinici. In più, i pazienti sono insoddisfatti per gli spostamenti, la logistica e i costi a carico».
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