La battaglie dell’associazione aBRCAdabra per garantire a chi ha la mutazione BRCA il test Jolie sugli embrioni pre impiantati. La Presidente Campanella: «Costi alti e pochi centri disponibili con il Servizio Sanitario Nazionale. L’Italia continua irresponsabilmente ad allontanarsi dal modello assistenziale universalistico ed equo»
Sveva ha 33 anni vive in Veneto, è sposata da pochi mesi quando scopre di avere una mutazione BRCA, la stessa di Angelina Jolie, che aumenta il rischio di tumore al seno e all’ovaio. Una notizia che le sconvolge la vita e che le dà la sensazione di dover convivere con una bomba a orologeria nel corpo.
La giovane donna ha ereditato la mutazione BRCA dal padre. «Sapevamo di avere una certa familiarità con il cancro con nonni e sorelle, ma era un ricordo lontano – racconta Sveva (nome di fantasia) -. La doccia fredda è arrivata quando si è ammalata di cancro al seno una cugina di 28 anni». Era il 2018 e la giovane età della ragazza è subito spia per i medici che iniziano ad indagare tutta la famiglia. «Mia sorella ed io risultiamo subito positive. È stata una situazione molto brutta – prosegue la giovane -. Era il febbraio 2019, ero sposata da quattro mesi ed è stato come essere travolti da uno tsunami».
La scoperta cambia la vita di Sveva. Decide subito di sottoporsi alla mastectomia bilaterale di riduzione del rischio, nonostante il parere contrario di molti che le consigliano di fare prima un figlio e di allattarlo. La giovane, che vuole comunque diventare mamma, ma vorrebbe non trasmettere il gene mutato ad un figlio.
Il destino aiuta gli audaci, si dice, ed infatti Sveva trova la risposta che cerca. «Ero in treno quando ho letto la notizia che regione Veneto dal 2016 autorizza la diagnosi BRCA preimpianto su embrioni in centri privati. Ho subito capito che era ciò di cui avevo bisogno». Inizia così il lungo cammino di Sveva per diventare mamma, ma con la certezza di non trasmettere il gene mutato al figlio. Un percorso carico di prove da superare e denso di emozioni fino all’arrivo della piccola Aurora, nata senza la mutazione BRCA1 grazie ad una fecondazione assistita e ad una diagnosi preimpianto. Per due mesi si sottopone ad uno studio di fattibilità e poi inizia la procedura. Stimolazione, pick up, produzione di cinque embrioni (due risultano con mutazione e tre no). «Avevo tre chances, la prima è andata subito bene», ammette con un pizzico di commozione Sveva.
Tra farmaci e tecniche la donna spende oltre dieci mila euro. «Senza contare i 300/400 euro a embrione – aggiunge – e il costo di ogni impianto che si aggira sui 1500 euro». Nonostante il costo la donna non si arrende anche perché trova a sostenerla l’associazione aBRCAdabra, prima associazione nata in Italia per persone portatrici della mutazione genetica. Un ente che ha tra le sue mission proprio quella di lavorare con specialisti del settore e istituzioni per comprendere cosa fare e a quali strutture sanitarie rivolgersi per ottenere un servizio equo e accessibile. «La preservazione della fertilità, del benessere sessuale, della procreazione medicalmente assistita e della PGT (test genetico preimpianto) sono percorsi essenziali. Invece in quasi tutte le regioni Italiane sono slegati dalla presa in carico delle donne con un problema oncologico attivo o con il rischio di sviluppare un tumore nel corso della loro vita, proprio come è accaduto a Sveva – dice Ornella Campanella presidente di aBRCAdabra – Ancora più rari sono i centri in grado di offrire il servizio con il SSN. E non è questione di nord e sud. Purtroppo, il nostro Paese, in questo caso, continua irresponsabilmente ad allontanarsi dal modello assistenziale universalistico ed equo».
A rendere difficoltoso il cammino di donne come Sveva che, di fronte alla possibilità di trasmettere ai propri figli il gene BRCA mutato vogliono cambiare il destino, sono innanzitutto le lunghe liste d’attesa e le scarse strutture sanitarie a cui rivolgersi per poter offrire un servizio equo e accessibile a tutte. «Magari non è una priorità – riflette Sveva – ma sarebbe giusto avere almeno un supporto economico. Il percorso non è stato facile, e non solo per gli aspetti economici. Con la mutazione ti fai scrupoli a fare stimolazioni ormonali, io avevo paura di rovinarmi con le proprie mani. Quando ho saputo che sarebbe nata una femmina è stata una esplosione di gioia». Sveva voleva una bambina libera e così è stato. Libera dal sapere di avere una spada di Damocle sulla testa. «Se fossi rimasta incinta non avrei certo abortito a causa della mutazione BRCA, ma dal momento che la scienza e il progresso ci offrono l’opportunità di scegliere, perché non farlo e risparmiare ad un figlio la sofferenza che una mutazione genetica può generare».
A breve Sveva impianterà due nuovi embrioni senza mutazione ed inevitabilmente il pensiero corre a ciò che è stato e a quanto potrà essere. «Se mia mamma avesse fatto il test preimpianto io non sarei mai nata – riflette -. Ma è altrettanto vero che oggi la scienza offre una grande opportunità che deve essere colta. Aurora arrivata da tutte queste difficili dinamiche era proprio destinata a nascere e farà grandi cose».
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