Salute 14 Febbraio 2024 00:30

Artrite reumatoide, bloccarla in fase precocissima è possibile. Due trial ne dimostrano la fattibilità

Il trattamento precocissimo con abatacept nei soggetti a rischio di sviluppare un’artrite reumatoide rallenta notevolmente o blocca la progressione verso la malattia conclamata. Lo dimostrano due trial internazionali appena pubblicati su Lancet

di I.F.
Artrite reumatoide, bloccarla in fase precocissima è possibile. Due trial ne dimostrano la fattibilità

“L’artrite reumatoide è una malattia molto disabilitante che si caratterizza per una fase prodromica, priva di segni clinici evidenti. Nelle primissime fasi compaiono sintomi aspecifici come dolori articolari (artralgie), ma mancano i segni cardine della malattia (sinovite, infiammazione, ecc). Questi pazienti, pur essendo considerati a rischio, non avendo una malattia evidente, non sono trattati con farmaci immunosoppressori. In questa fase di malattia c’è però una finestra di opportunità terapeutica e il trattamento precoce di questi pazienti potrebbe evitare la comparsa di sintomi più gravi o addirittura frenare la comparsa della malattia conclamata”. Ad aprire nuove speranze di cura per i pazienti con artrite reumatoide fin dalle prime fasi della malattia è la professoressa Maria Antonietta D’Agostino, direttore della UOC di Reumatologia di Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS e Ordinario di reumatologia presso l’Università Cattolica.

Gli effetti del farmaco biologico all’esordio della malattia

L’ipotesi avanzata dalla professoressa D’agostino è alla base di due studi appena pubblicati su Lancet. Entrambe le ricerche riguardano il trattamento precocissimo dell’artrite reumatoide con abatacept, un farmaco biologico che blocca l’attivazione dei linfociti T, responsabili della cascata infiammatoria che porta alla malattia conclamata. La professoressa D’Agostino ha partecipato al disegno degli studi, che si sono avvalsi dell’imaging: risonanza magnetica (RMN) in uno studio (APIPPRA) e ecografia articolare nell’altro (AARIA). Per quest’ultimo, i ricercatori si sono avvalsi dello score OMERACT-EULAR messo a punto proprio dalla professoressa D’Agostino.

L’importanza di monitorare la patologie fin dalle fasi iniziali

In entrambi gli studi pubblicati su Lancet, questi pazienti ‘very early’ sono stati randomizzati in due coorti, la prima è stata trattata con abatacept, l’altra con placebo (gruppo di controllo). I risultati hanno mostrato una riduzione delle manifestazioni di artrite reumatoide conclamata nei pazienti trattati con farmaco attivo rispetto al placebo e un ritardo di manifestazioni di artrite reumatoide in quei pazienti che, pur avendo ricevuto il farmaco abatacept, sviluppavano la malattia. “I take home message di questi studi – commenta la professoressa D’Agostino –  sono diversi. Il primo è che i pazienti a rischio di sviluppare l’artrite reumatoide, cioè quelli con positività per gli anticorpi anti-citrullina (ACPA-positivi) e con dolori articolari persistenti (artralgia infiammatoria), devono essere monitorati in maniera costante e ravvicinata, dato che al momento non sappiamo quali soggetti con queste caratteristiche svilupperanno la malattia e quali non la svilupperanno. I pazienti con dolori articolari, di entità tale da tenerli svegli la notte o che presentano rigidità mattutina per almeno un’ora, con dolori costanti perduranti per qualche mese sono tra quelli più a rischio, e dovrebbero consultare un reumatologo, anche se – aggiunge la professoressa – le articolazioni non appaiono gonfie”.

L’utilità dell’ecografia

“Il secondo messaggio è che l’ecografia consente di individuare i pazienti a maggior rischio di sviluppare l’artrite reumatoide, perché il riscontro di sinovite ecografica o di segni infiammatori alla RMN, li fa inquadrare come pazienti ‘attivi’, cioè con artrite conclamata, ma clinicamente non visibile. Il terzo punto importante – continua la docente – è che trattare i soggetti ad alto rischio con un farmaco biologico come l’abatacept in fase precoce, non solo non crea problemi di safety (tossicità o effetti secondari), ma rallenta l’evoluzione verso l’artrite reumatoide clinicamente evidente. Lo studio che utilizza l’ecografia prevede tra l’altro un follow up esteso a cinque anni con controlli ecografici, radiografici e clinici per vedere se nel gruppo trattato con abatacept per 12 mesi, l’efficacia del trattamento nel prevenire la comparsa della malattia, si mantiene anche a lungo termine”.

Lo studio APIPPRA

Lo studio APIPPRA ha arruolato presso 30 centri britannici e uno olandese 213 soggetti con artralgie infiammatorie ma senza segni clinici (sinovite, tenosinovite, osteite) o laboratoristici di malattia (aumento di PCR o VES) e con positività per fattore reumatoide o per ACPA, dunque fortemente a rischio di sviluppare l’artrite reumatoide. I pazienti sono stati randomizzati in due gruppi: quello di trattamento attivo con abatacept (1 somministrazione a settimana per un anno) e il gruppo di controllo (placebo). Tutti sono stati sottoposti ad ecografia articolare all’inizio dello studio, al termine del primo anno (quando veniva sospeso il trattamento) e dopo 24 mesi. Obiettivo principale era evitare la comparsa della malattia (sviluppo di sinovite clinica a carico di almeno tre articolazioni delle mani o dei piedi), confermata dall’ecografia con lo score OMERACT-EULAR. Al termine del primo anno (fase di doppio cieco) aveva sviluppato un’artrite reumatoide il 9% dei pazienti trattati con abatacept e il 29% dei pazienti nel gruppo di controllo. A 24 mesi, solo il 25% dei partecipanti trattati con abatacept per un anno sviluppava l’artrite reumatoide, contro il 37% del gruppo di controllo.

Lo studio AARIA

Nel secondo studio (AARIA) un gruppo di pazienti ACPA-positivi con dolori articolari, senza segni di artrite clinica o laboratoristica (VES/PCR aumentate), ma a rischio di sviluppare un’artrite reumatoide, sono stati sottoposti ad una RMN della mano dominante. Chi presentava alterazioni subcliniche alla RMN, veniva arruolato in questo studio e randomizzato a ricevere abatacept o placebo per sei mesi. Scopo dello studio era valutare se il farmaco fosse in grado di sopprimere l’infiammazione evidenziata alla RMN (segno prodromico di AR), rallentando così l’evoluzione verso la malattia conclamata. Nell’AARIA, la terapia ‘precocissima’ con abatacept ha dimostrato una riduzione dell’infiammazione nel 57,1% dei pazienti trattati (contro il 30,6% del gruppo placebo). In particolare, il trattamento precoce con abatacept ha prodotto un significativo miglioramento del dolore, della rigidità mattutina e della qualità di vita dei pazienti. Solo l’8,2% dei pazienti trattati contro il 34,7% del gruppo di controllo ha sviluppato artrite reumatoide. Le differenze tra i due gruppi, in termini di miglioramento dell’infiammazione alla RMN e della progressione ad artrite reumatoide, restavano significative anche a 18 mesi, cioè a distanza di un anno dall’interruzione del trattamento.

Le conclusioni

“Dai risultati finora acquisiti possiamo dire che spostare indietro le lancette del trattamento con un farmaco biologico forse non eviterà completamente l’evoluzione verso l’artrite, ma potrà dar luogo a forme meno severe e dunque più trattabili. Trattare molto precocemente i soggetti a rischio può infatti – conclude la professoressa D’Agostino –  rallentare o interrompere l’evoluzione verso l’artrite reumatoide conclamata”.

 

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