Il responsabile della Sanità degli Stati Uniti: “Il peso che vivere in solitudine ha sulla salute e sul sistema sanitario è paragonabile a fumare 15 sigarette al giorno”
Prima la decisione dell’Organizzazione mondiale della Sanità di istituire la Commissione sulla connessione sociale, un progetto volto ad affrontare il fenomeno della solitudine come minaccia urgente per la salute. Ora, a distanza di poco più di sei mesi le autorità gli Stati Uniti hanno deciso di inserire la solitudine tra i disturbi da controllare nei check up medici annuali. Saranno i medici di base ad aggiungere agli esami del sangue e alle altre analisi tradizionali una serie di domande ai proprio pazienti per capire il loro livello di isolamento sociale. Le nuove raccomandazioni sono state pubblicate sulla rivista Annals of Family Medicine, in un rapporto che sottolinea come la solitudine vada trattata allo stesso modo di altre malattie croniche, sulle quali è importante intervenire con nuove iniziative sociali e nei contesti medici.
“Il peso che vivere in solitudine ha sulla salute e sul sistema sanitario è paragonabile a fumare 15 sigarette al giorno”, aveva osservato recentemente il responsabile della Sanità degli Stati Uniti, Vivek Murthy. Tenere sotto controllo la solitudine sarà quindi come misurare la pressione, il colesterolo. I Centri per il controllo e la prevenzione delle malattie hanno calcolato che vivere isolati aumenta negli anziani i rischi di demenza del 50%, di malattie cardiache del 29% e di ictus del 32%. Negli Stati Uniti la solitudine è un serio problema, considerando che la metà degli adulti dichiara di soffrirne: una percentuale più alta rispetto a quella di coloro che soffrono di malattie croniche, come diabete e obesità.
Una ricerca pubblica alla fine dello scorso anno, nello stesso periodo in cui l’Oms aveva annunciato di voler istituire la Commissione sulla connessione sociale, ha fotografato il ‘problema solitudine’ in 142 Paesi: quasi un adulto su quattro si sente solo. L’indagine ha rilevato anche che i più alti tassi di solitudine si riscontrano tra i giovani adulti di età compresa tra i 19 e i 29 anni. Sono invece gli anziani over 65 quelli a stare meglio da questo punto di vista, con una percentuale di vissuti di solitudine che si assesta al 17%. Una dimostrazione del fatto che, diversamente da quanto spesso si crede, sentirsi soli non è qualcosa che appartiene necessariamente alla fase dell’invecchiamento, ma un’esperienza che può colpire chiunque. Non sono rilevanti, infine, le differenze di genere.
A livello psicologico, la solitudine può contribuire alla dipendenza, all’autolesionismo e, più in generale, a vissuti depressivi e ansiosi. Al di là della sofferenza psichica, l’isolamento diventa rischioso anche per altri aspetti, in primis la salute fisica. Diverse ricerche hanno infatti dimostrato che questo è collegato a problemi del sonno e al presentarsi di infiammazioni. Inoltre, sembra impattare sul sistema immunitario, aumentando il rischio di malattie cardiache, ictus, diabete e demenza.
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