Giuseppe, un ragazzo di 18 anni autistico insignito del titolo di Alfiere della Repubblica dal Presidente Mattarella per il suo impegno durante la DAD e la capacità di essere da stimolo per i compagni, è l’esempio che esiste anche in età adulta una plasticità cerebrale che permette di apprendere mettendo in gioco le emozioni positive
Si chiama Giuseppe Varone ed è un ragazzo autistico di 18 anni di Aosta che il presidente Sergio Mattarella ha insignito del titolo di Alfiere della Repubblica per il suo impegno durante il periodo di didattica a distanza e per la sua capacità di essere da stimolo per i compagni diventando lo speaker radiofonico di un programma per ragazzi autistici. La notizia, che sembra il lieto fine di una favola dei giorni nostri, in realtà è frutto di un prezioso lavoro dei genitori e degli insegnanti che hanno saputo, nonostante la distanza, tenere acceso l’interesse del ragazzo che ha trasformato l’isolamento in una occasione di crescita personale e di socialità con i compagni. Un risultato non sempre possibile, in particolare quando i disturbi della sfera autistica si riconoscono tardi o si nascondono.
Secondo un’indagine realizzata in Gran Bretagna e negli Stati Uniti su circa 2500 bambini e ragazzi autistici, è emerso che la prima diagnosi arriva in media intorno ai 7 anni in Uk e ai 5 negli Usa, ma in alcuni casi addirittura verso i 18 anni. Un ritardo che a causa del Covid e del distanziamento sociale potrebbe addirittura aumentare. Ragione per cui è fondamentale capire subito e agire immediatamente per non cadere nell’errore di un isolamento irreversibile.
OISMA (Osservatorio italiano di studio e monitoraggio dell’autismo) è un’associazione di promozione sociale che, con la sua presidente psicologa Rosaria Ferrara, ha messo a punto delle linee guida per aiutare genitori e insegnanti. «All’interno dello spettro autistico non è raro trovare casi di ragazzi che ricevono la diagnosi in età scolare o addirittura durante l’adolescenza. Questo fa capire due cose – analizza Ferrara -: l’intercettazione precoce non sempre funziona, e ci sono elementi che sfuggono all’attenzione di chi potrebbe riconoscerli. Esistono poi differenze nell’espressione fenotipica dell’autismo tra maschi e femmine, ovvero in come la società recepisce alcuni comportamenti che vengono più tollerati nelle ragazze piuttosto che nei ragazzi. Per intenderci, se una bambina tende ad isolarsi desta meno preoccupazione rispetto ad un bambino».
Un dato che all’apparenza è irrilevante, ma non a chi fa del monitoraggio dei comportamenti autistici sin dalla più tenera età oggetto di studio. «Abbiamo due sezioni di OISMA bebè – spiega la psicologa -, una a Roma e l’altra a Salerno, entrambe sono strutturate per aiutare a riconoscere i campanelli di allarme sin dai primi anni del bambino. Un esempio? A pochi mesi già un corpo estremamente rigido, o al contrario ipotonico, può esprimere un disturbo». Fondamentale è leggere un segnale e in questo il ruolo dei genitori prima e degli insegnanti poi diventa decisivo.
«I famigliari sono i primissimi che possono accorgersi di un qualcosa che non va. Molte volte però le sensazioni vengono silenziate e scambiate per eccessiva ansia o preoccupazione, mentre invece il loro intuito è capacità di vedere oltre».
Se invece i genitori non riescono a percepire i segnali che il bambino manda, gli insegnanti possono diventare una fonte importante di riferimento sia alla scuola materna che nella primaria. In questo il ruolo di OISMA aps è importante. «Facciamo molte iniziative formative, e durante questo periodo di didattica a distanza abbiamo lanciato diverse campagne per aiutare gli insegnanti». In particolare, sono state istituite delle checklist a cui i docenti possono fare riferimento, anche se, come rimarca la stessa presidente di OISMA, a volte il fenomeno del ritiro sociale dei ragazzi con neurodiversità viene interpretato come una soluzione comoda per la famiglia. E così si tarda l’evidenza di casi di autismo, asperger o Hikikomori.
«Una volta riconosciuti i campanelli di allarme occorre da un lato attivare la famiglia– sottolinea Ferrara – e dall’altra facilitare l’inclusione dello stesso nella classe. Il primo lockdown è stato devastante per i ragazzi autistici, fortunatamente è andata meglio in quelli successivi perché è stata prevista la possibilità di creare piccoli gruppi in presenza».
«Importante è non arrendersi di fronte alle difficoltà. Con questi ragazzi si può fare molto anche quando sembrano ormai adulti perché esiste una plasticità cerebrale che permette di apprendere mettendo in gioco le emozioni positive – spiega – con l’ausilio di stratagemmi che possono spostare la loro attenzione su argomenti più coinvolgenti che aiutano comunque ad arrivare al risultato».
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