Per un bambino autistico relazionarsi con un robot abbassa l’ansia da prestazione. Questa la posizione dei ricercatori dell’università americana che hanno assistito al miglioramento delle abilità sociali di 12 bambini dopo 30 giorni con gli automi
Interagire con un robot può aiutare i bambini con la sindrome dello spettro autistico a sviluppare alcune capacità sociali, da un maggiore contatto visivo con l’interlocutore a una migliore attenzione mentre giocano. Lo ha dimostrato uno studio preliminare pubblicato dalla rivista Science Robotics e condotto dall’università di Yale che dimostra come in soli 30 giorni, con l’aiuto di strumenti robotici, i piccoli pazienti riescano ad avere un’interazione migliore fra loro e con le rispettive famiglie.
I ricercatori hanno fornito a 12 famiglie con un figlio autistico tra i 6 e i 12 anni un tablet con dei giochi sociali sviluppati appositamente e una versione modificata di un robot commerciale chiamato Jibo, programmato per guidare il bambino nelle attività interagendo direttamente con lui. «Abbiamo lasciato questi robot nelle case per un mese – racconta Brian Scassellati, esperto di robotica e scienziato cognitivo alla Yale University – e tutte le decisioni su cosa fare, quale difficoltà scegliere per i problemi e come far mantenere l’attenzione ai bambini erano prese dagli automi». I giochi erano basati su tecniche di terapia clinica finalizzate a migliorare le diverse abilità sociali, compresa la comprensione sociale ed emotiva, prendendo la prospettiva di un altro e completando i compiti in una sequenza.
Le indagini svolte successivamente all’esperimento hanno mostrato che le abilità sociali di tutti e 12 i bambini sono migliorate nel corso dello studio. Erano più sensibili alla comunicazione, più inclini alle conversazioni e al contatto visivo con gli altri. Inoltre i punteggi medi di attenzione congiunta dei bambini sono migliorati tra il primo e l’ultimo giorno con il robot, aumentando del 33% prima di diminuire leggermente di 30 giorni dopo la fine dello studio.
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«Questo suggerisce – spiega Scassellati – che l’interazione uomo-robot abbia il potenziale di aumentare anche quelle con le persone in alcune circostanze. Il motivo potrebbe essere ricercato nel fatto che con un robot non c’è la pressione sociale di rispondere correttamente da subito, e questo abbassa il livello di ansia. La migliore ipotesi che abbiamo è che i robot sono ‘sociali’, ma non ‘troppo sociali’. Sono abbastanza sociali da essere trattati dai bambini come veri e propri agenti, con contatti visivi e dialoghi. Tuttavia non lo sono abbastanza da far sentire i bimbi ansiosi o nervosi nell’interazione».