Gli scienziati del Wisconsin Veterinary Diagnostic Laboratory di Madison, in un’intervista pubblicata su Nature, hanno spiegato come fermare l’influenza aviaria: «Se dovesse trasformarsi in un’epidemia globale abbiamo già a disposizione diversi strumenti per far fronte all’emergenza, dai vaccini ai farmaci antivirali»
Mentre in Italia si moltiplicano i casi di aviaria tra i volatili selvatici e nel mondo i ritrovamenti di mammiferi contagiati dal virus, a livello globale cresce l’allerta per una possibile pandemia. L’allarme è stato ulteriormente incrementato dalla morte di una bambina di 11, contagiata dall’influenza aviaria, avvenuta in Cambogia la settimana scorsa. A placare gli animi, in queste ore, sono stati gli scienziati del Wisconsin Veterinary Diagnostic Laboratory di Madison che, in un’intervista pubblicata su Nature, hanno spiegato come fermare l’influenza.
La mossa numero uno è la “protezione” delle specie avicole presenti negli allevamenti. Per gli studiosi, non è più ipotizzabile abbattere gli animali infetti. In molti Paesi i focolai sono talmente tanti da mettere a rischio la sopravvivenza di troppi allevamenti. In alcuni Paesi, come la Cina, il pollame è vaccinano contro l’influenza aviaria. Così, molti altre Nazioni stanno ipotizzando di percorrere la stessa strada. Ma anche questa strategia ha un limite: i volatili vaccinati risultino positivi al virus, di conseguenza non è possibile distinguere gli infetti dagli immunizzati attraverso il vaccino. Questo «ha enormi implicazioni per il commercio internazionale e le esportazioni», spiega a Nature Keith Poulsen, specialista in malattie infettive, dirigente del Wisconsin Veterinary Diagnostic Laboratory di Madison.
Il monitoraggio degli uccelli selvatici
Il microbiologo Adel Talaat dell’Università del Wisconsin-Madison, con il suo team, sta sviluppando un vaccino che utilizza solo una piccola parte del DNA del virus. In tal modo, con test mirati ad altre regioni genetiche, sarebbe possibile distinguere i volatili vaccinati da quelli infetti. L’effetto tampone delle vaccinazioni, tuttavia, non potrebbe essere esteso agli uccelli selvatici che, come sottolineato da Stallknecht dell’Università della Georgia ad Athens «dovranno sviluppare una resistenza alla malattia attraverso l’infezione, e molti di loro moriranno in questo processo».
Proteggere le specie più a rischio
Secondo Stallknecht, i vaccini potrebbero essere indirizzati solo alle specie più a rischio, come ad esempio le aquile calve (Haliaeetus leucocephalus). Capire quali specie di uccelli selvatici sono più gravemente colpite dall’influenza aviaria è un altro obiettivo a cui puntano gli scienziati. Dettaglio che potrebbe aiutare gli allevatori a prendere misure mirate per proteggere il pollame, come pulire il grano, e soprattutto capire in quale stagione l’attenzione deve essere più alta: «È estremamente difficile farlo per 365 giorni all’anno – afferma Hill -. Sono più fattibili i tempi brevi»
La morte della bambina in Cambogia avvenuta la scorsa settimana fa temere che i contagi tra gli uomini possano diventare più numerosi e gravi. Tuttavia, il patologo veterinario presso l’Erasmus University Medical Center di Rotterdam, nei Paesi Bassi, Thijs Kuiken, nell’intervista su Nature ha ricordato che, nonostante le prime varianti del virus H5N1 circolino tra gli uccelli già da 25 anni, non hanno ancora acquisito la capacità di diffondersi tra gli esseri umani. Secondo Kuiken questo farebbe ipotizzare un basso rischio di pandemia tra gli esseri umani.
E seppure l’influenza aviaria dovesse trasformarsi in un’epidemia globale abbiamo già a disposizione diversi strumenti per far fronte all’emergenza, dai vaccini approvati contro l’influenza aviaria ad un farmaco antivirale, i cui effetti sono stati studiati sugli animali e osservativi sull’uomo. Secondo diversi scienziati, una pandemia di H5N1 sarebbe probabilmente più gestibile rispetto a quella di Covid: «Non dico che non sarà un disastro – dice a Nature Stallknecht – ma probabilmente non sarà così grave». Dello stesso parere anche Hill: «La questione è il controllo e la prevenzione – conclude -. E credo che entrambi siano obiettivi raggiungibili».
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