Aviaria, dopo l’allarme OMS intervista a Sanità Informazione di Calogero Terregino, direttore del Centro di referenza nazionale ed europeo per l’influenza aviaria all’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (IZSVe).
Pochi giorni fa, Tedros Adhanom Ghebreyesus, il direttore generale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità ha invitato il mondo intero a prepararsi ad una potenziale pandemia di influenza aviaria umana. L’allarme è scattato dopo che il ceppo H5N1 è passato dagli uccelli ai mammiferi. «Quello dell’aviaria è un virus estremamente plastico. Per questo l’Oms ha diramato l’allerta». Lo ha chiarito, in un’intervista a Sanità Informazione, il dottor Calogero Terregino, direttore del Centro di referenza nazionale ed europeo per l’influenza aviaria all’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (IZSVe), ente sanitario di controllo, ricerca e servizi per la salute animale e la sicurezza alimentare. Nel nostro Paese c’è grande attenzione, ma grazie all’esperienza del Covid-19 l’Italia è più preparata ad una eventuale pandemia. Anche a livello internazionale la preparazione è migliorata.
«La situazione epidemiologica in Italia è piuttosto favorevole, grazie anche all’intenso lavoro portato avanti dopo l’ultima epidemia di aviaria esplosa nel nostro Paese. Durante la stagione influenzale 2021-2022 sono stati registrati oltre 300 episodi. Quest’anno, invece, il più recente dei focolai, individuati tra volatili domestici, risale al 23 dicembre del 2022, il trentesimo riscontrato dal mese di settembre dello stesso anno. Oltre che in allevamenti industriali, quest’anno molti casi sono stati accertati in piccoli allevamenti di tipo rurale. I focolai sono stati riscontrati principalmente in Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna».
«Premettendo che ci sono delle fluttuazioni che potremmo definire “naturali”, ovvero anni in cui i focolai sono maggiori ed altri in cui sono minori, è innegabile che il minor impatto che ha avuto la malattia in Italia quest’anno (30 casi di aviaria tra i volatili domestici contro i 317 della scorsa stagione) è frutto anche dell’intenso lavoro messo in campo anche con il Ministero dopo l’epidemia dell’autunno-inverno 2021-2022 di monitoraggio, prevenzione e gestione più efficace dei focolai».
«Le attività di prevenzione si sono basate su un accurato esame delle criticità presenti, oggetto anche di una nostra recente pubblicazione scientifica. Tre le principali criticità riscontrate. La prima è dovuta ad un’eccessiva concentrazione di allevamenti di tacchino da carne, più suscettibili a contrarre e trasmettere il virus. Di conseguenza, quest’anno, l’intensità di tali allevamenti è stata preventivamente ridotta nei periodi ritenuti più a rischio. Punto due: la sorveglianza negli uccelli selvatici. Grazie al coinvolgimento delle associazioni venatorie e dei Centri di Recupero Animali Selvatici sono stati intensificati i controlli sulla fauna selvatica. Per rispondere alla terza criticità riscontrata, invece, è stato aumentato il numero di ditte dedite all’abbattimento degli animali e allo smaltimento delle carcasse».
«Piuttosto diversa. Tra i volatili selvatici, anche in Italia, si continuano a riscontrare numerosi casi, sia attraverso la raccolta e l’analisi delle carcasse, che grazie al lavoro attivo di cattura di animali nelle zone più umide, ritenute a maggior rischio. Sono proprio i selvatici che continuano a veicolare e diffondere il virus per i vari continenti»
«Nella stagione influenzale in corso non sono stati rilevati casi tra gli uomini in Italia. La sorveglianza sindromica negli esposti è molto migliorata rispetto al passato e adesso è piuttosto efficace, così come la prevenzione per chi gestisce i focolai attraverso l’adozione di adeguate misure di protezione individuale. Più in generale, i casi nell’uomo dovuti al virus più diffuso a livello globale (H5N1 del clade 2.3.4.4b), in Europa, sono stati molto limitati e asintomatici. Tra i più recenti quello dell’Ecuador: nella prima metà di gennaio di quest’anno, una bambina di 9 anni contagiata da una variante del virus H5N1 è stata ricoverata nell’unità di terapia intensiva locale».
«Non ci sono stati casi tra i mammiferi ma, nonostante ciò, continuiamo a monitorare costantemente il territorio e tutti i mammiferi carnivori che potrebbero potenzialmente entrare in contatto con il virus, soprattutto nelle zone più umide dell’Italia. Per questo lavoriamo in sinergia anche con i Centri di Recupero Animali selvatici».
«C’è preoccupazione perché la diffusione dell’aviaria tra gli animali selvatici è molto elevata e questa maggiore circolazione del virus aumenta anche le possibilità che possa modificarsi. Monitorare, infatti, non significa solo individuare il virus ma anche studiarne le mutazioni. Quelle osservate finora sono numerose, ma tutte mostrano un adattamento solo parziale del virus che, per il momento, non permette un contagio inter-umano»
«Quello dell’aviaria è un virus estremamente plastico e potrebbe potenzialmente modificarsi al punto tale da diventare trasmissibile a livello inter-umano. Per questo l’Oms ha diramato l’allerta. Ad ogni modo, dopo il Covid-19 siamo molto più pronti sia a livello nazionale, che internazionale ad intervenire in caso la situazione dovesse mutare, dando origine ad una pandemia di influenza. A livello internazionale ci sono diversi gruppi di lavoro che studiano prototipi di vaccino. In Italia abbiamo un Piano Pandemico aggiornato ed è di pochi giorni fa, l’ultima simulazione di piani operativi da mettere velocemente in campo in caso di epidemia globale».
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