«Il punto non sta nell’iperconnessione, ma in nuove forme di assenza genitoriale: troppo spesso ci facciamo sostituire da tablet e telefonini». L’intervista al Professor Tonioni, Direttore Centro Pediatrico Psicopatologia da Web, Policlinico Gemelli di Roma
Internet è ormai diventato uno strumento indispensabile per ognuno di noi: ha “ridotto” la distanza tra le persone, ma, paradossalmente, l’iperconnessione ha creato un distacco, “un vuoto” ben più grande, tra familiari, coppie, e, soprattutto, tra genitori e figli. Spesso, infatti, smartphone, pc e tablet, sostituiscono il contatto umano, gli sguardi, gli abbracci e le lunghe ore passate a chiacchierare con gli amici. Ed è per questo che è nata l’iniziativa #SconnessiDay, la prima Giornata Mondiale della s-connessione: 24 ore senza social, rete, whatsapp e email. L’obiettivo? Disconnettersi dai device, riconnettersi tra di noi e “recuperare” una comunicazione quotidiana fuori dalla rete. La nomofobia – la paura di restare sconnessi– è una vera e propria malattia, che ci rende insicuri e vulnerabili. E non solo. Sono tanti i rischi e pericoli derivanti dall’uso inconsapevole e scorretto della rete da parte di bambini e adolescenti – bullismo, cyberbullismo – e dalla loro dipendenza – vamping, like addiction -. C’è bisogno di indirizzare docenti, genitori e pazienti e di un continuo aggiornamento da parte dei medici. A questo proposito, il provider Sanità in-Formazione propone il tutorial aperto a tutti dal titolo “Internet e adolescenti: I.A.D. (Internet Addiction Disorder) e cyberbullismo”, curato dallo pschiatra del Gemelli David Martinelli. L’uso eccessivo e distorto di internet, infatti, può diventare una patologia e portare anche a forme di “ritiro sociale”. Il fenomeno non riguarda solo i ragazzi, ne sono vittime anche gli adulti. Anzi, spesso il problema nasce proprio nel rapporto tra genitori e figli. Ѐ ciò che sostiene, ai nostri microfoni, il Prof. Tonioni, direttore del primo ambulatorio italiano specializzato in dipendenza da internet e psicopatologie da web del Policlinico Gemelli di Roma.
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Professore, parliamo delle dipendenze da web. Dopo quante ore possiamo considerare “una patologia” l’abuso di tablet, smartphone, pc?
«Non c’è un quantitativo di ore limite, ma la tendenza a passare sul web più tempo possibile. Non parlerei di “dipendenza da web” nei bambini e negli adolescenti perché la mente infantile e quella adolescenziale non è in grado di strutturare delle dipendenze ma delle fasi di “abuso”. È importante sottolineare che il sintomo più grave non è l’iperconnessione; gli adolescenti hanno diritto a iperconnettersi per eludere la solitudine. Gli smartphone hanno cambiato il modo di vivere lo spazio, il tempo e parole come capacità di attesa e di stare da soli sono considerate la prima come perdita di tempo – ormai c’è tutto e subito – e la seconda come un problema, quando in realtà non lo è».
Quanti casi di cyber bullismo nei confronti di ragazzi – protagonisti o vittime – avete riscontrato ed individuato nel centro che lei dirige?
«Tanti, ma dobbiamo distinguere tra aggressività e veri casi di cyberbullismo, quando una persona non viene semplicemente aggredita ma vive una vera esperienza persecutoria. Si passa dall’essere aggrediti all’essere perseguitati quando ci si sente senza vie d’uscita, l’adolescente non riesce a confidarlo a nessuno: mamma, papà, maestre e compagni. Ecco, in questo caso c’è il rischio che possa fare qualcosa di autolesivo. Torno a dire, però, che il primo “bullo” è il genitore assente perché nessun bambino nasce vittima o bullo».
Cosa fa e cosa dovrebbe fare un genitore quando si rende conto che il figlio trascorre troppo tempo online?
«Colpevolizza l’iperconnessione e cade in dinamiche di controllo. “Le regole” non devono ridurre un figlio all’obbedienza: se “obbedisce” in modo passivo accumula rabbia che poi sfogherà da qualche parte. In realtà, la distanza più sana da un figlio è sempre la fiducia e mai il controllo, soprattutto quando è adolescente e la vera distanza che i genitori hanno nei confronti dei figli sono i propri sensi di colpa inconsci e inconsapevoli. Se c’è un adolescente da una parte c’è un genitore in crisi dall’altra. Guai a togliere il computer di forza ad un figlio! Le regole non servono a vincere sui figli ma devono servire a fare trattative. Nella trattativa non c’è mai assenza genitoriale: nel dare un ordine, uscire di casa e pensare ad un’altra cosa invece sì. La trattativa finisce quando si arriva al compromesso, al massimo sforzo possibile da parte di entrambi. E c’è crescita».
Quindi molto spesso ci sono problemi di tipo familiare all’origine?
«Sempre motivi affettivi, mai motivi cognitivi. Internet si pone come strumento protettivo. La chiave è trascorrere più tempo con i figli ma solo se ne hanno voglia. Queste cose funzionano se sono spontanee. E se non ne hanno voglia? Dovrebbero chiedersi il perché. I figli non vogliono che stiamo vicino a loro mentre giocano o che facciamo finta di giocare insieme a loro: i bambini guardano sempre se noi ci divertiamo, se ci annoiamo non ci vogliono ed hanno ragione».
Quali strumenti possiamo dare al professionista sanitario quindi al pediatra o al medico generico per supportare il bambino e le famiglie?
«Il suo intuito, la sua pancia. Nel caso dei bambini iperconnessi dovete pensare che il punto non sta nell’iperconnessione ma in nuove forme di assenza genitoriale: troppo spesso ci facciamo sostituire come presenza fisica dai tablet e dai telefonini. Se voi date un tablet a un bambino sentirete un genitore che dice: “mio figlio davanti al pc non si vede e non si sente”. Un genitore dovrebbe chiedersi perché non ha voglia di giocare “insieme” ai figli con il tablet per evitare che lui lo usi per “consolarsi”. Il massimo per un bambino non è il tablet ma è giocare con un genitore con il tablet. So che sono delle babysitter formidabili; io tante volte mi illudevo di essere solo in quando invece il resto della famiglia era davanti a uno screen digitale…»
Quali sono gli effetti fisici e comportamentali sugli adolescenti assuefatti dal web?
«La postura è un pochino ricurva, il volto ha un certo pallore, in tanti casi c’è il sovrappeso. Spesso presentano dolori articolari perché la postura è sempre la stessa. Al di là di questo, è interessante sapere che qualsiasi “ritirato sociale” sviluppa una tendenza all’ipocondria: questo non rivela una fragilità costituzionale ma una tendenza alla persecuzione, a pensare che da qualche parte ha qualcosa di malato e non sa dove».
Lo sport può essere utile per ridurre i disturbi web-mediati?
«Certo, se un ragazzo fa sport quasi non me ne occupo perché vuol dire che ha le risorse per farcela da solo e perché un altro elemento predittivo di eventuali problemi futuri è il disinvestimento dal corpo per cui anche dalla sessualità, dallo sport da qualsiasi attività fisica, sono i prodromi del ritiro sociale».