I disturbi Oppositivo Provocatorio e della Condotta sono le forme più diffuse di Comportamento Dirompente. Maniscalco (psicologa): «Non tutti i bambini manifestano la propria aggressività allo stesso modo. Clinicamente è possibile distinguerne due tipologie: affettiva, non intenzionale, e fredda, pianificata»
Impulsivi, irritabili, aggressivi, tendenti alle emozioni negative: è questo l’identikit dei bambini che soffrono di disturbi da Comportamento Dirompente. «Una categoria di disturbi che include condizioni in cui vi è un problema specifico di controllo dell’emotività e del comportamento – spiega Maria Grazia Maniscalco, psicologa dello sviluppo, esperta dell’Ordine degli Psicologi del Lazio per la valutazione e il trattamento di bambini e adolescenti con disturbi del neuro-sviluppo -. Le espressioni più diffuse sono il Disturbo Oppositivo Provocatorio (DOP) e il Disturbo della Condotta (DC)».
Elevata irritabilità, crisi di rabbia, aggressività verbale o fisica, condotte sfidanti e provocatorie sono gli aspetti che accomunano entrambi i disturbi. «Tuttavia, il disturbo della Condotta – sottolinea la psicologa – può sfociare anche in comportamenti più chiaramente antisociali». Chi soffre di disturbi da Comportamento Dirompente mostra un temperamento caratterizzato da una ipersensibilità alle emozioni negative. «Si tratta di bambini e adolescenti che hanno una scarsa tolleranza alle frustrazioni, perdono presto la pazienza e sperimentano spesso sentimenti di rabbia, che possono portare ad avere una vera e propria crisi comportamentale – aggiunge Maniscalco -. Hanno difficoltà ad inibire l’impulsività: non rispettano le regole, sono intrusivi, tendono a prevaricare, si oppongono alle richieste degli adulti. Mancano di empatia: hanno difficoltà a mettersi nei panni dell’altro, ad assumere la prospettiva altrui».
La difficoltà a regolare la propria emotività è uno dei sintomi principali nei disturbi del comportamento: «Dai 3 ai 5 anni, l’aggressività come risposta alla frustrazione dovrebbe fisiologicamente diminuire. La scuola dell’infanzia è, di solito, una vera e propria palestra in cui i bambini imparano a gestire le proprie emozioni. Di conseguenza, un bimbo che in questa fase della vita non abbia ridotto la propria aggressività è potenzialmente a rischio di sviluppare un disturbo da Comportamento Dirompente durante gli anni della scuola elementare», spiega Maniscalco.
Non tutti i bambini manifestano la propria aggressività allo stesso modo. «Clinicamente – sottolinea l’esperta – è possibile distinguerne due diverse tipologie: un’aggressività affettiva ed una più fredda. La prima, caratterizzata da impulsività, è tipica dei bambini con disturbo Oppositivo Provocatorio: reagiscono aggressivamente in risposta a uno stimolo interpretato come ostile (risposta non intenzionale o programmata, ma reattiva). L’aggressività più fredda, predatoria, pianificata, invece, è finalizzata ad ottenere qualcosa e si manifesta nei bambini e negli adolescenti con tratti temperamentali “callous unemotional” (insensibili), che non provano sensi di colpa, disagio. Questi soggetti, generalmente, non cercano di rimediare e sono più difficili da trattare».
I disturbi da Comportamento Dirompente presentano, spesso, un andamento evolutivo. «Il disturbo Oppositivo Provocatorio (DOP), infatti, è considerato un fattore predisponente al disturbo della Condotta (DC), più grave. Studi longitudinali hanno osservato un rischio di insorgenza del DC nei bambini con pregresso DOP quattro volte più alto rispetto ai bambini che non presentavano DOP – spiega la psicologa -. La diagnosi differenziale è complessa perché i problemi comportamentali sono presenti anche nei piccoli affetti da disabilità intellettive medio-gravi, con disturbo dello spettro autistico o dell’umore (circa il 50% dei soggetti con Adhd -Disturbo da Deficit di Attenzione Iperattività- presenta un DOP e circa il 40 % dei soggetti con DOPp presenta Adhd). La comorbidità incide sul percorso terapeutico e prognostico».
Caratteristiche proprie del bambino (come il temperamento difficile, una vulnerabilità neuro-cognitiva), lo stile di parenting (educazione coercitiva, inconsistente, incoerente, punitiva) e variabili ecologiche (contesto sociale-abitativo svantaggiato) rappresentano le principali cause scatenanti di questi disturbi. «Esiste anche una matrice neurobiologica – dice Maniscalco – come le anomalie nello sviluppo neuronale a livello dei lobi frontali, sede dei meccanismi cognitivi di controllo. Deficit nella capacità di autocontrollo, di inibizione dell’impulsività e di regolazione emotiva portano a rapide escalation comportamentali e motivano anche la permanenza nel tempo di questi problemi di aggressività e condotta».
Tra i programmi attualmente più diffusi c’è il Coping power, messo a punto negli Usa da Lochman. «Si tratta di un intervento di prevenzione secondaria che ha dato risultati di efficacia per la riduzione anche di tratti temperamentali callous unemotional nei bambini e un miglioramento delle pratiche educative genitoriali. Attualmente – dice Maniscalco – questo programma è attivo in diversi servizi ospedalieri e ambulatoriali del territorio (almeno 20), spesso integrato a pratiche di mindfulness, yoga».
Gli specialisti lavorano parallelamente con il bambino, in sedute individuali e/o di gruppo, con i genitori e gli insegnanti. «Il bambino viene guidato al riconoscimento dei segnali fisiologici che lo portano a sperimentare l’emozione negativa, sulla modulazione dell’emotività, sull’assunzione di prospettiva altrui, abilità sociali e problem solving in situazioni conflittuali. Ai genitori vengono mostrate le modalità educative più funzionali, con gratificazioni e attenzione positiva, regole chiare e routine», aggiunge l’esperta.
Recenti studi mostrano un’ascesa di questa tipologia di disturbi. «Attualmente ne soffre il 6% della popolazione in generale – sottolinea la specialista- . Se si considera la popolazione clinica, cioè coloro che arrivano alla nostra attenzione, le frequenze salgono, variando tra il 15% e il 39%, con in incidenza maggiore tra il sesso maschile. Le bambine in età prescolare possono presentare delle forme cliniche cosiddette “Covert” (che si vedono meno) e che in adolescenza tendono ad aggravarsi associandosi ad altri problemi: uso di sostanze stupefacenti, comportamenti autolesivi, sessualità promiscua. Purtroppo, molto spesso, le famiglie si rivolgono allo specialista quando ormai c’è un importante livello di compromissione del funzionamento adattivo del minore e in tutti i contesti di vita, familiare, scolastico e sociale. Il 40%, infatti, – conclude la psicologa – arriva in consultazione solo in età adolescenziale».
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