Il pediatra e deputato Paolo Siani (Pd): «Assenza da scuola tutela la salute, ma mina tutti gli altri diritti dell’infanzia». La psicologa Confalonieri (Università Cattolica Milano): «Monitorare segnali di scarso riadattamento sociale»
Un primo spiraglio si è aperto ieri, dall’inizio del lockdown, per un’ipotesi di ripresa delle attività scolastiche dei bambini. È attualmente all’esame del Comitato Tecnico Scientifico, infatti, il piano che presenta le linee guida agli enti locali per una eventuale riapertura in sicurezza, nel mese di giugno, di nidi d’infanzia e centri estivi.
Il piano, messo a punto dall’Anci e dai Ministeri della Famiglia, Salute, Lavoro, insieme alla Sip (Società italiana di pediatria), si propone di rispondere in modo concreto ad una delle istanze più sentite durante l’emergenza: la tutela dei diritti dei minori.
Nei giorni scorsi, ad esempio, a difesa dei bambini e dei loro diritti messi a repentaglio dalla chiusura delle scuole, venti pediatri avevano sottoscritto una lettera aperta per esortare le istituzioni ad un impegno concreto nella ricerca di soluzioni che contemperassero da un lato la necessità di contenere i contagi e dall’altra la salvaguardia del benessere psico-sociale dei minori.
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Tra i punti salienti sottolineati dalla lettera, la riluttanza delle istituzioni italiane a considerare seriamente la riapertura di asili nido e scuole come sta invece accadendo, seppur in maniera fortemente eterogenea nelle modalità, negli altri Paesi europei; ma anche l’inevitabile gap socio-educativo che la chiusura delle scuole sta accentuando tra i bambini appartenenti alle fasce economicamente più deboli della popolazione, per non parlare di chi subisce maltrattamenti in famiglia, oppure è affetto da disabilità.
Tra i firmatari anche il deputato Pd Paolo Siani, pediatra e componente della Commissione Affari Sociali alla Camera, impegnato in prima persona nel raggiungimento di una soluzione condivisa sulla questione. Ecco cosa ha dichiarato ai nostri microfoni: «Sicuramente la chiusura delle scuole dovuta alle circostanze attuali sta comportando dei danni ai bambini e alle famiglie. Così come ci stiamo preoccupando di sostenere altre categorie danneggiate dal lockdown (commercianti, imprenditori) cercando e creando una serie di soluzioni, così chiediamo che sia fatto lo stesso per bambini e famiglie».
«Scuola chiusa non significa solo assenza di contagio – continua Siani -, significa assenza di cultura e assenza di socialità. Un compromesso deve essere raggiunto. La didattica a distanza, poi, deve essere considerata un espediente eccezionale, d’emergenza, che non può in alcun modo sostituire la scuola, che si “fa” dentro l’aula, e non consiste nel mero apprendimento di nozioni ma di rapporti interpersonali».
Il grosso nodo della DAD (didattica a distanza) consisterebbe poi nell’accentuare le disuguaglianze sociali: secondo l’Istat, il 20% dei bambini italiani non possiede un computer, ed è quindi escluso dalla didattica a distanza. «Le misure da sperimentare ci sono – osserva Siani – ma vanno ricercate delle modalità d’intervento adeguate. Penso magari a gruppi ristretti di bambini insieme alla stessa maestra, sottoponendo quest’ultima al tampone, cercando spazi consoni per rispettare, nei limiti del possibile considerando la naturale propensione dei bambini al contatto fisico, il distanziamento sociale. Insomma, cercare modalità d’intervento tali da consentire sperimentazioni. La partita – conclude – si gioca sostanzialmente sull’andamento dei contagi da qui al prossimo mese. Il tempo ci dirà se le condizioni sono mature per partire con queste sperimentazioni».
E sulla DAD, anche la psicologa e scrittrice Emanuela Confalonieri (Università Cattolica di Milano) prende posizione e dichiara ai nostri microfoni: «Nonostante il generale impegno delle istituzioni scolastiche, è chiaro che gli strumenti per seguire le lezioni da remoto non sono a disposizione di tutte le famiglie. Questo potrebbe aver fatto sentire molti bambini inadeguati, e maggiormente isolati. Tornare quanto prima ad una didattica inclusiva è, a questo punto, essenziale, anche in parte a distanza e in parte in presenza. L’importante – sottolinea la psicologa – è che l’elemento tecnologico, che è quello più distanziante e discriminante, venga man mano compensato dalla presenza».
Ma quali saranno le tracce che il lockdown lascerà sulla psiche di bambini e adolescenti? E come trattarle in seguito? «Il senso di privazione e isolamento è sentito meno nei bambini più piccoli: poter passare più tempo con mamma e papà attenua le difficoltà – osserva Confalonieri -. Viceversa per un adolescente che sta fisiologicamente iniziando ad affermare la sua indipendenza, questa vicinanza coattiva può lasciare tracce importanti. Sarà compito degli adulti – spiega – nel momento del ritorno ad una vita normale, notare eventuali segnali: una eccessiva difficoltà a ritornare sui banchi di scuola, a svolgere le attività consuete, a ritrovarsi con gli amici, e in generale la fatica a riprendere abitudini piacevoli, possono essere un campanello d’allarme. In questo caso – conclude la psicologa – l’importante è non colpevolizzare e capire che, data la situazione, sarebbero sfasamenti assolutamente comprensibili».
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