In Italia carenza e disomogeneità di Terapie Intensive Pediatriche, ma il ricovero nelle TI per adulti non garantisce appropriatezza delle cure e aumenta la mortalità
Poche, mal distribuite, concentrate maggiormente al Nord rispetto al Sud. Parliamo delle Terapie Intensive Pediatriche (TIP) i reparti preposti alle cure intensive dei bambini dai 31 giorni di vita fino almeno ai 14 anni. Nel 2014 il Network italiano delle Terapie Intensive Pediatriche (TIPNet) ne ha individuate solo 23, di cui 11 al Nord, 8 al Centro e 4 per il Sud/isole, per un numero complessivo di circa 202 posti, ed un rapporto posti letto/bambini molto basso in Italia (1:75.000) rispetto ad altri paesi come l’UK (1:25.000) o l’USA (1:18.000). Il risultato è che molti bambini che necessitano di questo tipo di assistenza vengono ricoverati nelle Terapie Intensive per adulti, con un impatto negativo sull’appropriatezza delle cure, esiti peggiori ed una mortalità più alta.
Un correttivo a questa situazione è stato proposto dalla SIN (Società Italiana di Neonatologia) che, nell’ambito del XXVIII Congresso Nazionale tenutosi a Firenze dal 26 al 29 ottobre, ha evidenziato l’opportunità di allestire nelle aree geografiche con carenza o assenza di posti in TIP, delle Terapie Intensive Neonatali (TIN) “allargate” al fine di gestire questi lattanti e bambini. Non è una novità, infatti, che le TIN, oltre ad essere in numero adeguato (118 in Italia) e soprattutto dislocate in modo omogeneo sul territorio, in molti casi si trovano già a ricoverare e gestire bambini oltre i 30 giorni di vita e/o le 44 settimane di età post-concezionale, fornendo un’assistenza più appropriata anche in ragione del fatto che il 30% della domanda di ricoveri in TIP riguarda proprio lattanti o bambini molto piccoli.
«Pensiamo che questo modello assistenziale possa avere numerosi vantaggi – spiega il presidente della SIN Luigi Orfeo – perché molte patologie di cui sono affetti i lattanti e piccoli bambini, che necessitano del ricovero in TIP, sono state contratte durante il periodo perinatale (basti pensare ai lattanti e bambini con conseguenze della prematurità, dell’asfissia perinatale, con disordini congeniti e sindromi, etc) e pertanto i neonatologi sono più predisposti alle cure di questa tipologia di bambini rispetto agli intensivisti in generale. Inoltre – sottolinea – anche in caso di una nuova ondata di pandemia da COVID-19, questo modello assistenziale potrebbe essere di beneficio nella gestione dei piccoli bambini laddove c’è scarsità di posti intensivi. La cura del bambino – spiega ancora Orfeo – ha una sua forte specificità: oltre agli aspetti tecnici che rendono una TIN più adatta alla presa in carico intensiva del bambino rispetto a una TI per adulti, c’è da considerare l’aspetto emotivo e relazionale, anche relativamente ai genitori. L’ambito pediatrico ha una cultura specifica dell’accoglienza del bambino e del suo nucleo familiare, che le TI, per forza di cose, non hanno».
«Sicuramente l’allargamento della TIN – prosegue Orfeo – richiederebbe un percorso formativo ad hoc degli operatori sanitari (neonatologi e infermieri) alle cure intensive pediatriche, mediante percorsi specifici strutturati, sia accademici, sia da parte delle società scientifiche che, come la SIN, devono essere in prima linea su questo specifico aspetto educativo-formativo. Inoltre, le TIN allargate devono essere strutturalmente e tecnologicamente adeguate a gestire i bambini più grandi, acquisendo presidi specifici, come per la ventilazione invasiva e non, gli accessi vascolari eco-guidati, il monitoraggio invasivo e non. In tal senso – conclude – la SIN dovrebbe collaborare con gli organi istituzionali del nostro paese nel redigere degli standard minimi organizzativi da far adottare alle TIN allargate»
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