La fotografia dell’Ordine degli Psicologi del Lazio: «L’80% dei ragazzi ha bevuto almeno un drink nell’ultimo mese. Il principale luogo di consumo non è il bar, ma la casa. Tra i giovani c’è molta disinformazione: meno di due su dieci conoscono la differenza tra bevande alcoliche e superalcolici»
Trascorrere la serata tra un bicchiere e l’altro con un unico scopo: ubriacarsi fino a perdere il controllo di sé. È questa una delle più pericolose mode diffuse tra i giovanissimi: si chiama binge drinking, letteralmente “abbuffata alcolica”. Di solito, chi la insegue è in cerca di rifugio da preoccupazioni personali o, semplicemente, si lascia andare ad un bicchiere di troppo perché reperire alcol è facile ed economico. E, nonostante sia un’abitudine piuttosto diffusa, molti non ne conoscono i rischi. Chi, invece, sa che bere nuoce alla salute si ubriaca per “sfidare il rischio”, trasgredire alle regole, avvicinarsi al mondo degli adulti. «I giovani – spiega Federico Conte, psicologo e psicoterapeuta, tesoriere dell’Ordine degli Psicologi del Lazio – bevono sia per sfuggire alle emozioni negative, che per esaltare quelle positive o per imitare il comportamento altrui».
Il fenomeno del binge drinking, che prevede l’assunzione di almeno sei unità alcoliche in un’unica occasione, riguarda un giovane su tre e il 13,6% dei ragazzi, con una prevalenza di maschi, assume questa condotta negativa almeno una volta al mese. Sono questi alcuni dei risultati emersi da una ricerca dell’Ordine degli Psicologi del Lazio, effettuata su un campione di 518 studenti (55% femmine e 45% maschi), di età compresa tra i 13 e i 19 anni, di 26 classi di otto scuole secondarie di primo e secondo grado. Lo studio, presentato oggi, si inserisce all’interno di una più ampia iniziativa denominata “Binge Drinking: azioni di sensibilizzazione nei contesti scolastici” promossa dall’Assessorato alla Persona, Scuola e Comunità Solidale di Roma Capitale e realizzata dalla Fondazione Roma Solidale onlus.
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«Nella nostra ricerca non ci riferiamo ad alcolisti, a soggetti che fanno un uso continuativo di alcol – sottolinea Conte – ma ad individui che bevono in quantità elevate durante brevi periodi, soprattutto nel weekend. Pertanto non possiamo parlare di una vera e propria dipendenza, piuttosto di un utilizzo occasionale correlato a momenti sia positivi che negativi della propria vita».
Dalla fotografia scattata dall’Ordine degli Psicologi del Lazio emerge un quadro più allarmante di quello delineato di recente dall’Istat: secondo l’Istituto di Statistica le percentuali di binge drinker, sia tra gli uomini che le donne, aumentano nell’adolescenza e raggiungono i valori massimi tra i 18 e i 24 anni, con un’incidenza del 22,2% tra i maschi e dell’8,6% tra le femmine. Numeri allarmanti che fanno del binge drinking uno dei più grandi problemi di salute al giorno d’oggi. Questa cattiva abitudine produce alterazioni a livello neurologico, cardiaco, gastrointestinale, ematico, immunitario, endocrino e muscolo-scheletrico. «Dall’abuso di alcol possono scaturire anche conseguenze immediate – sottolinea lo psicoterapeuta – azioni che possono mettere a rischio la vita, come il coma etilico o gli incidenti stradali. Queste situazioni di grave pericolo possono ledere l’identità dell’individuo, in un periodo della vita in cui questa stessa identità personale è in fase di formazione. Nel lungo termine, invece, l’alcol può diventare un vero e proprio regolatore emotivo, l’unico modo per “stare” in un gruppo. Ogni situazione può arrivare a dover essere mediata dall’alcol. Si beve per dimenticare o per festeggiare: quando una storia d’amore finisce o se la propria squadra del cuore vince una partita».
Otto ragazzi su dieci hanno bevuto almeno un drink nell’ultimo mese, con una maggiore frequenza tra i maschi. E a differenza di quanto si possa immaginare il principale luogo di consumo non è il bar ma la casa: «L’eccesso nel luogo protetto», ha commentato lo psicoterapeuta. Bevono in ambiente domestico il 45.6% dei giovani, contro il 37.5% che consumano bevande alcoliche in bar o ristorante. Seguono il pub e la discoteca con il 36.1%. Si beve per lo più con amici (55.8%) e in misura leggermente inferiore in presenza di genitori e familiari (42.7%), il 5.6% consuma alcol in solitudine.
E purtroppo non tutti i giovani che bevono sono consapevoli di quanti danni stiano provocando alla propria salute. Mediamente, i partecipanti alla ricerca dell’Ordine degli Psicologi del Lazio hanno risposto correttamente a tre-quattro domande su un totale otto. Quasi il 90% è bene informato sui limiti di età previsti dalla legge italiana per la somministrazione e la vendita di bevande alcoliche, 6 giovani su dieci conoscono il nome del tipo di alcol presente nel vino, birra e nelle bevande alcoliche e riconoscono, a parità di quantità, la bevanda meno alcolica. Ne sanno veramente poco, invece, sul limite di età entro cui l’Organizzazione Mondiale della Sanità raccomanda la totale astensione dal consumo di alcol (ne è informato il 9.3% del totale) e sulla corretta differenziazione tra bevande alcoliche e superalcolici, conosciuta solo dal 18.7% degli intervistati. Non mancano nemmeno le false credenze come quella che diluire una bevanda alcolica nell’acqua possa incidere sulla concentrazione di alcol nel sangue. Ma non è la disinformazione la principale causa dell’abuso di alcol: «I maggiori bevitori – aggiunge Conte – sono paradossalmente proprio coloro che ne sanno di più. Un dato che sfata il luogo comune secondo il quale “informare sia una delle principali soluzioni ad un problema”. Questo perché il bere – conclude l’esperto – è il segnale di un problema che ha radici complesse, un fenomeno, spesso socialmente accettato, sintomo di un malessere molto più profondo».