Salute 17 Gennaio 2022 11:10

Blue Monday in pandemia: è davvero il giorno più triste dell’anno?

L’esperto: «Più che in un Blue Monday siamo da due anni calati in un grigio che non guarda ai giorni della settimana. Ma la stagione invernale influisce eccome»

Blue Monday in pandemia: è davvero il giorno più triste dell’anno?

La fine delle vacanze natalizie e quelle estive che si stagliano come un miraggio troppo lontano. Le condizioni meteorologiche e quelle finanziarie. I buoni propositi disattesi e il relativo calo motivazionale. Sono questi i fattori dell’equazione ideata nel 2005 a fini di marketing che ha portato all’identificazione del Blue Monday, il giorno più triste dell’anno, che cade il terzo lunedì di gennaio.

Oggi, lunedì 17 gennaio, è il Blue Monday 2022. Ed è singolare parlare “del giorno più triste dell’anno” quando da due anni nel mondo intero, a causa della pandemia, i nostri umori equilibri e stati d’animo sono costantemente rimessi in gioco, scardinati, rimodulati su una stagionalità più netta che mai, scandita dalle ondate del virus. Che significato ha oggi il Blue Monday?  Ne abbiamo parlato con lo psicologo Marco Vitiello, responsabile del gruppo di Psicologia e Lavoro presso l’Ordine degli Psicologi del Lazio.

Il Blue Monday assume oggi significati diversi

«Tenendo presente che si tratta appunto di un’invenzione di marketing a fini puramente commerciali – esordisce Vitiello – è chiaro che un momento di down dovuto alla stagione invernale e a una sorta di stress da rientro può esserci. Oggi però – spiega – a causa della pandemia, il Blue Monday assume significati diversi e una maggiore inclinazione alla depressione ha una sua fondata ragion d’essere indipendentemente dal giorno della settimana».

Siamo calati in un Blue Monday perpetuo da due anni?

«Sicuramente sono due anni in cui abbiamo sperimentato nuove forme di tristezza, di solitudine e di mancanza di prospettive – illustra Vitiello -. Le feste di Natale sono state caratterizzate da una corsa ai tamponi e dalla paura generalizzata di essere vettori di contagio, così come i rientri a scuola e a lavoro sono stati snaturati dalla situazione corrente, tra l’incertezza della DAD o la scuola in presenza e il lavoro in smart working. Una sorta di vacanza prolungata che non è stata mai davvero vacanza, e un rientro senza quella spinta motivazionale che caratterizza in generale i rientri. Lo spirito del momento è contraddistinto dalla fatica pandemica di cui fanno parte la confusione comunicativa e la monotematicità dei discorsi».

Un “doppio carico” cui far fronte in questa stagione

«È chiaro che la stagionalità associata all’evento pandemico tende ad esasperare la cosiddetta sindrome della caverna spiega ancora Vitiello -. Parliamo della tendenza a chiudersi che contraddistingue alcune personalità più di altre. Per contro c’è chi cerca il più possibile di stare nei contesti sociali, una possibilità messa a dura prova dalla pandemia, con la relativa frustrazione che ne consegue. La sensazione di necessità di agire, tipica del rientro invernale, si scontra con l’impossibilità oggettiva di farlo. Si è costantemente alla ricerca di nuovi significati. Se la progettualità – sottolinea lo psicologo – anche a livello di viaggi, banalmente il programmare una settimana bianca, era ciò che tradizionalmente mitigava la tristezza da Blue Monday, oggi è venuta a mancare anche quella».

I contesti familiari come fattore trigger

«Se normalmente il Natale e il passare più tempo in famiglia “dà colore” al grigio invernale e in un certo senso prepara al Blue Monday, negli ultimi due anni questo parametro si è sballato – osserva Vitiello -. Le situazioni familiari critiche e la convivenza forzata già sperimentata dal lockdown hanno messo a dura prova le famiglie. In alcuni casi, esasperando situazioni di conflittualità e producendo stress. Senza che ci sia stato, successivamente, un fattore di rottura. Insomma, più che in un Blue Monday, oggi siamo calati in un grigio che avvolge la quotidianità – conclude lo psicologo – di cui ci si ricorda l’inizio ma di cui, di fatto, ancora non si riesce ad intravedere la fine».

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