«È importante che il medico stressato emotivamente si procuri un bel quadernone e ogni giorno metta per iscritto, alla fine del turno di lavoro, tutte le sue sensazioni più negative» spiega lo psicoterapeuta Giorgio Nardone a Sanità Informazione
Non sono solo a rischio contagio perché lavorano a stretto contatto con pazienti Covid-19. I professionisti sanitari, in questi mesi così difficili, stanno sostenendo un’enorme pressione e lavorano a ritmi serrati senza riuscire mai a recuperare dalla stanchezza. Tutto questo comporta problemi fisici ed emotivi: ansia, stressi post-traumatico, paura, preoccupazione. Un disagio profondo, un esaurimento fisico e psicologico che può condizionare il rapporto con il paziente.
È per questo che è fondamentale chiedere aiuto e rivolgersi ad uno psicoterapeuta che offra strategie di soluzione su come gestire la situazione. Abbiamo approfondito la questione con lo psicoterapeuta Giorgio Nardone, docente del corso ECM “Dalla pandemia al burnout. Lo stress lavoro-correlato nei sanitari” offerto da Consulcesi Club.
«I segnali che ogni individuo deve tenere presente rispetto al suo livello di stress emozionale sono tre. In primis, la sensazione di distacco e freddezza rispetto all’altro che è un segnale di difesa; in secondo luogo, il contrario, ossia la voglia e il desiderio di esternare troppo con tutti la propria fatica e sofferenza; il terzo, la sensazione di “esaurimento”: la candela che è finita, la fiammella che si spenge, un esaurimento psicofisico».
«Quando si arriva a queste situazioni si ha bisogno di uno specialista, un esperto, uno psicologo psicoterapeuta che riesca a fare in modo che la persona trovi uno spazio tutto suo per esprimere questi tre aspetti. È fondamentale avere dall’altra parte non solo un ascoltatore empatico ma qualcuno che offra strategie di soluzione su come gestire queste problematiche. Oggi esistono strategie validate per cui la persona in questa condizione può trovare un aiuto psicoterapeutico davvero efficace e anche in tempi brevi».
«I gruppi di incontro hanno un effetto ambivalente: servono per sfogarsi e confrontarsi ma il più delle volte non offrono soluzioni. In più, a volte possono creare addirittura un gruppo di riferimento nel quale sentirsi tutti vittime di una situazione. Possono funzionare in fase iniziale ma se si insiste diventano addirittura controproducenti. Il dolore, come la paura e la rabbia sono emozioni che l’individuo deve imparare a gestire in modo soggettivo. Per questo c’è bisogno di un lavoro sulla persona e non sul gruppo».
«Una delle tecniche più validate è che il singolo operatore, il medico che è stressato emotivamente si procuri un bel quadernone e annoti le emozioni del suo trauma. È importante che ogni giorno metta per iscritto, alla fine del turno di lavoro, tutte le sue sensazioni più negative. Le deve scrivere nel linguaggio più forte e più viscerale, questa è una tecnica che permette di canalizzare le emozioni farle defluire».
«I farmaci, in fase iniziale, possono essere un aiuto per ridurre l’ansia e le risposte eccessive ma questa non è una soluzione. Sappiamo che o eccita o inibisce. Si tratta di un supporto, ma stiamo molto attenti all’abuso di ansiolitici, antidepressivi, antipsicotici e antidolorifici perché poi creano una dipendenza dalla quale è ancora più difficile uscire».
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