Simonetta Marucci, coordinatrice del sondaggio dell’Associazione Medici Endocrinologi: «Continueremo ad analizzare il fenomeno per poi proporre risposte adeguate per migliorare la nostra attività lavorativa a vantaggio dei pazienti. Come il lavoro in equipe»
Giovani, donne e ospedalieri. È l’identikit dell’endocrinologo colpito da burnout. Questi i risultati principali emersi da una survey condotta dall’Associazione Medici Endocrinologi e presentati nel corso del congresso in corso a Roma.
Tre i parametri utilizzati per misurare il burnout, ovvero quella sindrome psicologica causata da eventi di disagio e stress in ambito lavorativo: esaurimento emotivo, depersonalizzazione e scarsa realizzazione professionale. Dalla survey, l’endocrinologo ospedaliero, seguito dall’ambulatoriale, risulta con il più alto esaurimento emotivo, cioè si sente emotivamente svuotato e annullato dal proprio lavoro e prova un inaridimento emotivo nel rapporto con gli altri. Per quanto riguarda la realizzazione personale, questa risulta maggiore nei liberi professionisti, poi al secondo posto negli ambulatoriali e infine, i meno realizzati appaiono gli ospedalieri. Maglia nera per gli ospedalieri pure per la depersonalizzazione, sintomo che si manifesta con un atteggiamento di allontanamento e di rifiuto nei confronti dei pazienti.
«Ma il primo grande risultato che abbiamo ottenuto – commenta Simonetta Marucci, endocrinologa e coordinatrice della survey AME – è la straordinaria adesione registrata tra i colleghi. Su 1200 questionari inviati abbiamo ricevuto 813 risposte. È un dato significativo, che indica come questo argomento abbia suscitato l’interesse degli endocrinologi italiani e quanto sia particolarmente sentito, anche se troppo spesso sottovalutato».
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Un lavoro che quindi l’Associazione intende proseguire: «Approfondiremo la situazione con altri questionari per capire meglio le ragioni di questi risultati, per capire quali sono i fattori che rendono giovani, donne e ospedalieri più toccati dal burnout – prosegue la dottoressa Marucci -. Poi cercheremo di elaborare delle strategie e delle soluzioni. Ad esempio sappiamo che il lavoro in equipe e la condivisione delle scelte aiutano molto, perché fanno fronte a quell’incertezza che è spesso alla base dello stress. E poi è importante tutelare la vita al di fuori del lavoro, cercando di non farsi assorbire completamente dalla carriera».
Ma l’obiettivo, come puntualizza Marucci, è proteggere sia i medici che i pazienti: «Il rischio di burnout è associato ad un maggiore errore medico. E se il medico sbaglia, è vero che il paziente subisce l’errore, ma è proprio il medico la seconda vittima di quell’errore. Va incontro a uno stress incredibile e a una crisi personale e professionale che può anche sfociare in gesti tragici. Non è un caso che in America ci sia un alto tasso di suicidi tra i medici».
«Quindi il nostro obiettivo è quello di avere una fotografia della situazione – conclude la dottoressa -. Una volta fatta la diagnosi, potremo pensare alla terapia, e quindi ad elaborare risposte adeguate che possano migliorare la nostra attività lavorativa a vantaggio dei pazienti».