Lo studio ha analizzato i dati della UK Biobank di oltre 500mila partecipanti di età compresa tra 37 e 73 anni
Decaffeinato, macchiato, lungo o ristretto, forte o intenso: se si parla di caffè i gusti degli italiani sono, senza dubbio, tra i più variegati al mondo. È una bevanda talmente amata da essere consumata in qualsiasi momento della giornata. Ma il caffè fa male o bene alla salute, soprattutto a quella del cuore? I pareri a riguardo sono piuttosto discordanti. Ma ora, una nuova ricerca scientifica potrebbe mettere tutti d’accordo. Uno studio pubblicato sul ‘Journal of Clinical Endocrinology & Metabolism’ mostra che consumare regolarmente quantità moderate della bevanda e, quindi, quantità moderate di caffeina può offrire un effetto protettivo contro diverse malattie cardiometaboliche, tra cui diabete di tipo 2, coronaropatie e ictus. I ricercatori firmatari del lavoro hanno scoperto un’associazione fra un rischio più basso di multimorbilità cardiometabolica (Cm) di nuova insorgenza – che si riferisce alla coesistenza di almeno due malattie cardiometaboliche – e l’assunzione regolare di caffè o caffeina.
E quale sarebbe la quantità ideale per beneficiare di questo effetto-scudo? “Consumare tre tazze di caffè o 200-300 mg di caffeina al giorno potrebbe aiutare a ridurre il rischio di sviluppare multimorbilità cardiometabolica” in persone senza alcuna malattia di questo tipo, dichiara l’autore principale dello studio Chaofu Ke, Dipartimento di epidemiologia e biostatistica della School of Public Health al Suzhou Medical College – Soochow University, in Cina. Oggi con l’invecchiamento della popolazione che si osserva un po’ in tutto il mondo, la prevalenza di persone con più patologie cardiometaboliche sta diventando una preoccupazione crescente per la salute pubblica, si osserva nello studio. Il consumo di caffè e caffeina potrebbe svolgere un ruolo protettivo da non trascurare, rilevano i ricercatori.
Dallo studio è emerso che chi assumeva regolarmente una quantità moderata di caffè (tre al giorno) o caffeina (200-300 mg al giorno) aveva un rischio di multimorbilità cardiometabolica ridotto del 48,1% rispetto ai non consumatori o del 40,7% rispetto ai consumatori di meno di 100 mg di caffeina al giorno. Ke e i suoi colleghi hanno basato le loro scoperte sui dati della UK Biobank, ampio e dettagliato studio longitudinale sulla dieta, con oltre 500mila partecipanti di età compresa tra 37 e 73 anni. Lo studio ha escluso chi aveva informazioni ambigue sull’assunzione di caffeina. E il pool di partecipanti ha raggiunto un totale di 172.315 persone, prive in partenza di malattie cardiometaboliche, usate per le analisi della caffeina, e 188.091 per le analisi del consumo di caffè e tè.
L’assunzione di caffè e caffeina a tutti i livelli era inversamente associata al rischio di multimorbilità cardiometabolica nei partecipanti senza questo tipo di malattie. Ma chi aveva consumi moderati mostrava il rischio più basso, secondo i risultati dello studio. Un’assunzione moderata di caffè o caffeina era inversamente associata a quasi tutte le fasi di sviluppo della multimorbilità cardiometabolica. “I risultati – conclude Ke – evidenziano che promuovere quantità moderate di caffè o caffeina come abitudine alimentare per le persone sane potrebbe avere benefici di vasta portata per la prevenzione” di questo problema.
Numerosi studi epidemiologici hanno rivelato effetti protettivi del consumo di caffè, tè e caffeina sulla morbilità di singole malattie cardiometaboliche. Tuttavia, i potenziali effetti di queste bevande sullo sviluppo di multimorbilità su questo fronte erano in gran parte sconosciuti. Gli autori hanno esaminato la ricerca disponibile sull’argomento e hanno rilevato che le persone con una singola malattia cardiometabolica possono avere un rischio di mortalità per tutte le cause due volte superiore rispetto a quelle prive di qualsiasi malattia cardiometabolica. E hanno scoperto che gli individui con multimorbilità cardiometabolica possono avere un rischio di mortalità per tutte le cause quasi da quattro a sette volte superiore. Rispetto a quest’ultima condizione, i ricercatori hanno infine notato anche che può presentare rischi più elevati di perdita di funzionalità fisica e stress mentale rispetto ai pazienti con singole malattie.
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