Flaminia Fegarotti, referente per la Patient Advocacy di Fondazione IncontraDonna, in un’intervista a Sanità Informazione, racconta la sua storia, dalla malattia alla maternità. Undici anni fa è nato suo figlio, oggi la scienza le dà ragione: con la mutazione dei geni BRCA è possibile diventare madre in piena sicurezza
“Sono una donna felice e realizzata professionalmente. Ho 53 anni e sono una volontaria di Fondazione IncontraDonna e madre di un bambino di quasi 11 anni avuto dopo chirurgia, terapia ormonale e chemioterapia. Ho avuto il tumore della mammella due volte, a 37 e 39 anni”. Flaminia Fegarotti, referente per la Patient Advocacy di Fondazione IncontraDonna, racconta così la sua storia, in un’intervista a Sanità Informazione. Una storia a lieto fine, nonostante poco più di quindici anni fa le possibilità diagnostiche e le prospettive di trattamento del cancro al seno non fossero paragonabili a quelle attuali: “Solo dopo aver ricevuto entrambe le diagnosi di tumore ho scoperto di essere portatrice della mutazione genetica BRCA 1”. Le mutazioni dei geni BRCA 1 e BRCA2 (dove BR sta per breast “seno” e CA per cancer “cancro”) sono fattori di rischio per il tumore del seno e delle ovaie: chi le possiede ha maggiori probabilità di sviluppare un tumore del seno e delle ovaie.
Nonostante tutto, Flaminia non ha rinunciato al suo sogno di diventare madre ed all’età di 42 anni ha dato alla luce il suo bambino. Quello di Flaminia, 11 anni fa, poteva essere considerato un ‘azzardo’, ma oggi la scienza le dà ragione: un nuovo studio dimostra che diventare madri dopo una diagnosi di cancro al seno dovuto a mutazioni dei geni BRCA non solo si può, ma è anche sicuro. La ricerca, pubblicata di recente sulla prestigiosa rivista medica JAMA, è stata presentata allo scorso San Antonio Breast Cancer Symposium, il più importante congresso internazionale sul cancro al seno.
“Ritengo sia davvero importante preservare la possibilità di una gravidanza in una donna con tumore al seno, a maggior ragione se portatrice di mutazione genetica. Ovvio, la sopravvivenza è la prima cosa, senza quella nulla ha senso – dice Flaminia -. Io sono stata fortunata, al tempo nessuno mi parlò di gravidanza e preservazione della fertilità. Mi dissero che sarei entrata in menopausa farmacologica per un lungo periodo e che, probabilmente, data la mia giovane età, mi sarebbe tornato il ciclo mestruale, ma nessuno poteva darmi garanzie in tal senso e, tantomeno, nessuno mi parlò di maternità. Oggi, la medicina ci dà delle possibilità in più ed è bene avvalersi del progresso perché non possiamo sapere cosa ci riserva il futuro. Dopo la menopausa farmacologica sono guarita e la mia oncologa mi suggerì, qualora avessi avuto desiderio di maternità, di provare da subito. Ho buttato il cuore oltre l’ostacolo, avevo già 42 anni e miracolosamente sono rimasta incinta al primo tentativo in maniera semplice e naturale, questa cosa ancora mi stupisce. Ho partorito a 42 anni e 9 mesi”.
Nel nuovo studio, coordinato da Matteo Lambertini dell’Università di Genova, sono stati analizzati i dati di 4.732 donne, con un’età media di 35 anni, seguite in 78 centri nel mondo, tra cui la Fondazione IRCCS San Gerardo dei Tintori di Monza. Una su cinque ha concepito entro 10 anni dalla diagnosi di tumore, con un tempo medio dalla diagnosi al concepimento di tre anni e mezzo. Non solo si è dimostrata la fattibilità e la sicurezza di una gravidanza (i tassi di complicazioni o di rischi di malformazioni del feto sono in linea con quelli della popolazione generale), ma anche che in queste pazienti non si è verificato un incremento della probabilità di ricomparsa del tumore.
In genere, la gravidanza dopo un tumore al seno è considerata sicura, ma i dati relativi alle portatrici di BRCA erano finora limitati. Le preoccupazioni sulla sicurezza materna e fetale del concepimento dopo il tumore al seno riguardano soprattutto la presunta correlazione tra l’aumento degli ormoni in gravidanza e il rischio di recidiva del tumore. “I risultati di questo studio consentono invece di sfatare il mito che gli ormoni della gravidanza possano avere un impatto negativo sull’outcome oncologico di queste giovani donne – commenta Roberto Fruscio, professore di Ginecologia e Ostetricia dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca, principal investigator per il centro monzese -. Possiamo finalmente fornire rassicurazioni sul fatto che, dopo un’adeguata cura del carcinoma della mammella e un appropriato periodo di osservazione, la gravidanza non dovrebbe più essere sconsigliata a queste donne”.
“Siamo molto soddisfatti di aver contribuito in maniera significativa a questo studio, che consente di fare un deciso passo avanti nella cura delle donne portatrici di mutazioni dei geni BRCA, e orgogliosi di essere diventati negli anni centro di riferimento per la prevenzione dei tumori ginecologici in donne con aumentato rischio genetico – aggiunge Fabio Landoni, direttore della Clinica di Ginecologia della Fondazione IRCCS San Gerardo dei Tintori e professore di Ginecologia e Ostetricia dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca -. Il lavoro appena pubblicato è uno splendido esempio di come la ricerca condotta in maniera rigorosa possa avere un impatto immediato e pratico sulla clinica”.
Ma se la scienza offre certezza, è la vita reale a donare, a tutte le donne che hanno ricevuto una diagnosi di cancro al seno, la forza di andare avanti, giorno dopo giorno. “Come rappresentante per la Patient Advocacy di Fondazione IncontraDonna cerco di sensibilizzare e aiutare, anche attraverso la mia storia personale, le donne che stanno vivendo ora quello che io ho vissuto tempo fa. Mio figlio oggi ha quasi 11 anni, io ora sono sana e – conclude – spero di esserlo a lungo per potermi prendere cura di lui e vederlo crescere”.
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