L’80% dei pazienti che si sottopongono a chemioterapia perde i capelli. Intervista alla dottoressa Lucia Mentuccia, oncologa presso l’Ospedale di Colleferro, su rimedi e soluzioni
La testa calva per una donna è un tabù sociale. Sono pochissime le donne che affrontano cicli di chemioterapia per distruggere un cancro e che poi si muovono liberamente in società con la testa scoperta. Come è noto, in chemioterapia si utilizzano farmaci molto aggressivi per distruggere le cellule tumorali. Mentre curano il paziente, però, questi farmaci presentano effetti collaterali e aggrediscono i bulbi piliferi responsabili della crescita e della robustezza dei capelli. Per questo in poco tempo si ha una conseguente caduta dei capelli, più o meno intensa, la cosiddetta alopecia. Solo dopo circa 3-6 mesi dalla fine dei cicli di terapia si avrà la ricrescita. Dapprima i nuovi capelli saranno sottili, poi sempre più forti. Ma nel frattempo, specie nelle pazienti donne, la perdita, seppur temporanea, dei capelli determina un motivo di grande sconforto. Ne parliamo con la dottoressa Lucia Mentuccia, oncologa presso l’Ospedale di Colleferro, referente Cisl Medici Lazio.
Quasi il 90% delle donne che si curano per il cancro alla mammella è poi colpita da alopecia. Ma è temporanea oppure i capelli possono anche non ricrescere?
«In 12 anni di professione in cui mi occupo di tumore alla mammella ho seguito un grande numero di donne e ho avuto un solo caso in cui i capelli non sono più ricresciuti. Vorrei inviare un messaggio positivo alle donne che affrontano il problema: i capelli ricrescono, e spesso anche più forti e in maniera differente. Chi ha i capelli lisci dopo potrebbe ritrovarsi con i capelli ricci».
Come si può prevedere o prevenire l’alopecia da terapia oncologica? Ci sono altrimenti soluzioni terapeutiche alternative?
«I trattamenti che vengono proposti alle donne che hanno avuto diagnosi di tumore della mammella sono per la maggior parte alopecizzanti, almeno nell’80-85% dei casi, perché si utilizzano farmaci che causano alopecia, le antracicline. Questo perché se una donna è suscettibile di trattamento chemioterapico per le caratteristiche istologiche e biologiche della malattia, bisogna comunque garantire in una fase precauzionale il miglior trattamento possibile e il più completo. Le donne temono questo effetto collaterale, la prima domanda che fanno è sui capelli. Sia le più giovani che le più anziane. Anche per continuare l’attività lavorativa e sociale, o nel rapporto stesso con il partner che può subire alterazioni. Avere alopecia le fa sentire malate, sottoposte al giudizio degli altri. Le donne che hanno dei bambini piccoli hanno spesso difficoltà a spiegare ai figli perché la mamma ha perso i capelli. Alcune volte quindi ci troviamo a dare qualche consiglio su come affrontare questo con loro. Poi lavorando in provincia il problema si accentua, perché ci si conosce un po’ tutti».
Il casco refrigerante può essere una soluzione per evitare la caduta dei capelli?
«Il casco refrigerante ha un sistema di raffreddamento che va a proteggere i bulbi piliferi con il freddo. Non è che il problema venga del tutto eliminato, ma va a ridursi sensibilmente e quindi è meno percepibile».
Ci sono pazienti che per paura di perdere i capelli rifiutano o ritardano di sottoporsi alle terapie?
«Alcune pazienti si rifiutano di cominciare la terapia ed è per questo che è molto importante l’approccio iniziale, il primo colloquio. Spiegare bene quali sono gli escamotage nel periodo in cui si pratica la terapia, perché si tratterà solo di un periodo circoscritto. E poi spiegare tutto quello che può e deve essere fatto per attenuare questo effetto collaterale. Io consiglio sempre di accorciare i capelli dieci giorni prima di iniziare la procedura terapeutica, specie se si hanno i capelli lunghi, per non subire l’impatto della perdita di una capigliatura più abbondante. Poter indossare poi una parrucca sui capelli già corti è molto più semplice. Comunque le pazienti spesso confidano alle infermiere le loro preoccupazioni, poiché sono le figure con cui stanno più a contatto nella sala di terapia. Loro sono molto preparate su questo aspetto e possono dare tanti consigli su questo argomento».
La chemioterapia colpisce, oltre alla capigliatura, anche ciglia e sopracciglia.
«Le strutture di oncologia spesso prendono accordi con dei centri estetici e persone che si dedicano alla cura della persona per insegnare come disegnare le sopracciglia, per esempio. Poi a causa del cortisone ci può essere gonfiore del viso, possono venire delle afte in bocca. Tutte queste cose possono alterare la percezione di sé per un po’ di tempo».
Cosa consigliate per la ricrescita successiva dei capelli? Ci sono rimedi locali, lozioni?
«Per questo aspetto di solito c’è una collaborazione con il dermatologo. I capelli ricrescono, anche rapidamente. In caso di ricrescita più lenta, di alopecia areata o definitiva, quello che si fa è sentire il dermatologo che può consigliare specifiche lozioni. Non lo facciamo direttamente noi, ma sono situazioni piuttosto rare».
La Regione Lazio aiuta economicamente chi non può permettersi di acquistare la parrucca?
«La Regione Lazio ha recentemente approvato un decreto che consente di dare un contributo alle donne che hanno una alopecia derivante da trattamento oncologico. Hanno stanziato 300 mila euro da destinare all’erogazione di questo contributo, frutto di una maggiore sensibilità a questo problema».
Quanto costa una parrucca mediamente?
«Può costare poche centinaia di euro ma anche molto di più, dipende se è sintetica o di capelli veri. Per questo entra in gioco la disparità economica fra le pazienti. Molte non possono permettersela, alcune preferiscono usare dei turbanti. Un’ottima idea della Regione Lazio è stata quella di istituire una Banca della Parrucca presso ogni Azienda sanitaria locale, con l’obiettivo di instaurare la cultura della donazione dei capelli nella popolazione. Donando i capelli si costruiscono delle parrucche che possono essere utilizzate dalle donne che si sottopongono a trattamento di chemioterapia e dopo queste verranno restituite alla Banca che si occuperà di lavarle e sanificarle, per poi darle ad altre persone che ne avranno bisogno per un altro percorso di cura. Solidarietà che unisce le donne sane con quelle che hanno un problema di salute. Per avere questo contributo regionale le Asl emettono un avviso pubblico che scade ogni anno il 31 luglio. Per quest’anno, a causa dei disagi dovuti al Covid-19 che hanno complicato certamente la possibilità di presentare per tempo la domanda, la possibilità di fare richiesta è stata prorogata al 30 settembre 2020. Il contributo potrà essere chiesto anche da chi ha rapporti di parentela con il paziente entro il terzo grado o affinità o dal convivente».
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