Giordano Beretta fa il punto sulla fase 2: ripresa delle attività chirurgiche, reti oncologiche in collaborazione con il territorio e una forte ripresa del sistema diagnostico, per imparare dall’emergenza
Visite rinviate, screening interrotti e un 20% dei pazienti che ha rimandato le terapie per paura di prendere il Covid-19 in ospedale. La fase 1 dell’emergenza coronavirus ha messo in difficoltà i pazienti oncologici più di altre categorie, in quanto costretti per la maggior parte dei controlli e trattamenti a recarsi in ospedale. Ora che la fase 2 è iniziata, la ripartenza dovrà significare un ritorno al pieno regime, ma con qualche modifica imposta dal virus, che non è ancora sedato. Sanità Informazione ne ha parlato con il dottor Giordano Beretta, presidente dell’Associazione italiana di oncologia medica (Aiom) e responsabile oncologia medica Humanitas Gavazzeni di Bergamo.
La situazione generale ha visto una intensa riduzione degli accessi, ma «il problema fondamentale è che la fase 1 non è stata uguale per tutti». Il presidente Aiom tiene a chiarire, parlando della sua città fortemente colpita dal virus: «Qui a Bergamo è arrivata una vera e propria ondata che ha costretto a rivoluzionare tutte le strutture, in altre realtà di Italia sicuramente il virus non ha richiesto una trasformazione dell’intero ospedale in una struttura Covid, questa è forse una situazione più tipica della Lombardia».
Ogni necessità dei pazienti è stata gestita con un protocollo specifico, dai controlli di routine ai trattamenti obbligatori. «I follow-up si è cercato di gestirli per via telematica, guardando gli esami del paziente al computer e spostandoli direttamente all’appuntamento successivo. Facendo comunque venire, invece, in visita il paziente con problematiche che lo richiedevano».
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Per i pazienti attualmente ammalati si è fatta un’analisi caso per caso, racconta Beretta. «Nella mia realtà, che pure era Covid quasi al 100% – spiega – abbiamo proseguito le visite per chi aspettava una risposta e chi doveva fare una rivalutazione della riduzione della propria malattia in quanto sottoposto a una terapia». Anche la somministrazione delle terapie è passata per una valutazione: «Contattando ogni paziente si è fatto un rapporto tra rischio e beneficio di proseguire la terapia in quel momento o l’utilità di rinviarla di qualche giorno. In questo modo si sono evitati assembramenti, facendo affluire alla struttura il minor numero possibile di pazienti».
«I problemi ci sono stati con la chirurgia – prosegue – in quanto le sale operatorie quasi dappertutto sono state occupate dalle terapie intensive e dagli anestesisti nella gestione dei pazienti Covid». Uno scenario emergenziale che ha costretto a rimandare gli interventi. Oppure, come nel caso della Lombardia in cui lavora Beretta, sono stati individuati degli hub Covid-free per gli interventi considerati non procrastinabili. Una soluzione che il presidente Aiom ha considerato «funzionante nella maggior parte dei casi, anche se alcune strutture si sono trovate con un sovraccarico di attività».
Sospesa totalmente invece l’attività di screening. «In quel caso – spiega l’oncologo – si tratta di persone che non hanno in realtà una malattia, in cui si va a cercare di fare una diagnosi precoce, perciò il rischio di contrarre il virus poteva essere addirittura superiore al beneficio che poteva dare l’esecuzione dell’accertamento».
Ora però, in fase 2, è essenziale che vengano riattivati pena la possibilità dell’aumento dei malati più gravi. «Se una sospensione di due mesi non ha comportato particolari problematiche – avverte Beretta – stare fermi un anno potrebbe diventare un problema serio, potremmo trovare delle malattie in uno stato più avanzato e più difficilmente curabili. Non bisogna dimenticare che la possibilità di guarire da una malattia è strettamente legata allo stadio in cui la si trova nel paziente».
Intanto le terapie intensive continuano a svuotarsi, anche in Lombardia il trend è positivo e molti reparti straordinari sono stati chiusi. Le attività chirurgiche potranno riprendere in breve tempo con una cadenza quasi normale, ma l’emergenza non è ancora superata. I pazienti oncologici che riprenderanno i trattamenti dovranno comunque sottostare a orari rigidi, arrivare soli nelle strutture e rispettare la distanza di sicurezza. «Sono stati creati dei percorsi differenziati – ricorda l’oncologo – e quindi anche la preoccupazione che portava i pazienti a non venire per non rischiare il contagio dovrebbe così essere superata perché la possibilità che accada è sensibilmente più bassa».
Una fase 2 che faccia tesoro delle modalità che si sono rivelate indispensabili durante il periodo più nero dell’emergenza. Su tutti la telemedicina, suggerisce il presidente Aiom, che per i pazienti oncologici potrebbe essere risolutiva spostando i controlli sul web, con l’invio di esami e parametri allo specialista seguito da un colloquio telematico.
«Questo tipo di procedura ha certamente un futuro nella riorganizzazione – chiarisce Beretta – che passa però anche attraverso un miglioramento delle reti oncologiche che si aprono sul territorio». L’oncologo auspica una riorganizzazione che parta proprio dalla medicina territoriale, per poter costruire un «meccanismo combinato tra le strutture specialistiche e i medici di medicina generale, per non perdere eventuali problematiche che il paziente magari non riferisce in modo corretto e possono essere evidenziate se c’è un’assistenza sul territorio adeguata».
Una direzione, quella suggerita dal dottor Beretta, che sembra essere condivisa dal Ministero della Salute e dal governo, che nel decreto Rilancio ha riservato alla medicina territoriale importanti investimenti. «Non c’è alternativa – concorda Beretta – noi abbiamo una prevalenza di pazienti oncologici che è di 3,5 milioni, significa che il follow up vecchia maniera non è più praticabile».
Ai pazienti oncologici il presidente Aiom raccomanda ancora prudenza e attenzione: se si viene in contatto con il virus, quarantena preventiva fino al tampone con un attento monitoraggio del proprio stato di salute e un consulto del medico. Attenzione soprattutto a chi sta seguendo una terapia: «In caso di sospetta patologia Covid l’eventuale esecuzione di una terapia va valutata attentamente dal medico, in quanto ci potrebbero essere dei rischi superiori ai vantaggi».
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