In occasione della Giornata internazionale dedicata ai diritti delle persone con disabilità (3 dicembre), la Federazione italiana delle Associazioni di Volontariato in Oncologia rilancia un appello formulato dalla comunità scientifica attraverso le colonne della rivista «The Lancet Oncology».
Costretti spesso ai margini della società sul piano sociale e professionale, le persone disabili (circa 3,1 milioni in Italia, secondo i dati riportati dall’Istat nell’ultimo rapporto dedicato alla disabilità nel nostro Paese) vengono trattati come pazienti di “serie B” anche in ambito oncologico. Sul campo della diagnosi precoce e dell’accesso alle terapie, infatti, si registrano notevoli disagi rispetto al resto della popolazione. Un tema, quello della qualità delle cure rivolte a queste persone, portato di recente all’attenzione da una serie di articoli pubblicati sulla rivista «The Lancet Oncology». E che la Federazione italiana delle Associazioni di Volontariato in Oncologia (FAVO) condivide e rilancia in occasione della Giornata Internazionale dedicata ai diritti delle persone con Disabilità, che si celebrerà sabato 3 dicembre. Un appuntamento voluto dal 1981 dall’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) per aumentare la consapevolezza e l’attenzione verso i problemi connessi alla disabilità e l’impegno a garantire con azioni concrete la dignità, i diritti e il benessere delle persone disabili. Anche in ambito sanitario. E, nello specifico, della cura dei tumori.
Le difficoltà che le persone con una disabilità – congenita o acquisita, motor
«Un risultato incoraggiante, da una parte – spiega Elisabetta Iannelli, Segretario Generale di FAVO -. Ma che porta con sé anche una maggiore probabilità di sviluppare una serie di malattie croniche più comuni nella seconda metà della vita: come per l’appunto i tumori. Di conseguenza il numero totale dei casi riguardanti queste persone è destinato ad aumentare. Chiediamo che il Paese, sul piano istituzionale e scientifico, consideri questo aspetto e attui una serie di misure per rendere il sistema sanitario più inclusivo e realmente universalistico, facilitando l’accesso e il percorso diagnostico, terapeutico e assistenziale per le persone disabili». Un passaggio fondamentale, considerando peraltro che una parte di questi pazienti potrebbe ritrovarsi ad affrontare il tumore e le cure senza un adeguato supporto da parte dei familiari, soprattutto nel caso in cui la diagnosi arrivi in età avanzata.
Rispetto alla grande mole di dati prodotti quotidianamente dalla comunità scientifica, quelli relativi ai pazienti disabili rappresentano una parte infinitesimale. Queste persone, poi pazienti oncologici, molto di rado vengono coinvolte nelle sperimentazioni cliniche. Né le loro disabilità sono tenute adeguatamente in conto negli studi epidemiologici. Ma non solo. Nella valutazione delle condizioni complessive dei malati, il peso della disabilità non viene riconosciuto ancora in maniera adeguata. E di conseguenza i sistemi sanitari non risultano in grado di fornire l’assistenza “speciale” di cui questi pazienti necessitano: in termini di disponibilità di personale altamente qualificato, di infrastrutture e macchinari più adatti alle loro esigenze, di strategie di comunicazione e supporto psicologico efficaci e rivolte tanto alle persone disabili quanto ai loro caregiver.
Andando sugli aspetti più pratici, l’analisi condotta da Liza Iezzoni (direttrice del Centro di ricerca sulle politiche sanitarie, Mongan Institute, del Massachusetts General Hospital di Boston) ha riconosciuto tre priorità per potenziare l’assistenza alle persone con disabilità affette da un tumore: accrescere la partecipazione agli screening oncologici (diversi studi hanno evidenziato tassi di risposta inferiore per gli screening del tumore al seno e della cervice uterina, un aspetto dovuto anche all’assenza di macchinari più accessibili per questi pazienti), agevolare il percorso diagnostico (la difficoltà a utilizzare lettini e macchinari per l’imaging porta spesso a ritardare le diagnosi), ottimizzare l’accesso alle cure (pochi i dati disponibili sulla loro efficacia in questi pazienti) e al follow-up (diversi studi evidenziano un ridotto accesso agli ospedali per controlli e terapie rispetto alle persone senza disabilità).
Senza considerare poi la necessaria riabilitazione. «Rappresentando una comunità di migliaia di pazienti oncologici italiani, con la FAVO ci sentiamo di condividere tutte le raccomandazioni diffuse dalla professoressa Iezzoni: da sempre attenta al tema delle disparità in ambito sanitario – aggiunge Iannelli -. Il lavoro da compiere è su vari livelli. Per garantire un’offerta sanitaria adeguata, è necessario innanzitutto partire dai numeri. Oggi non sappiamo quanti siano gli italiani che, già alle prese con una disabilità, si sono poi ammalati di cancro. Occorre inoltre aumentare la consapevolezza da parte dei sanitari della problematica oncologica legata alla disabilità. Ed eliminare tutte le barriere, fisiche e culturali, che portano spesso queste persone a non conoscere le opportunità a loro disposizione e a rivolgersi meno di frequente alle istituzioni sanitarie».
Il concetto di disabilità si è evoluto nel tempo: passando da un aspetto strettamente medico a uno maggiormente orientato in chiave psicosociale. È stata l’Organizzazione Mondiale della Sanità, nel 2001, a definire la disabilità come «una condizione che fa parte della vita umana» e che è caratterizzata da «una serie di limitazioni che derivano dall’interazione tra le condizioni di salute e alcuni fattori contestuali: di natura ambientale, fisica e sociale». Le disabilità funzionali possono ridurre la mobilità, la visione, l’udito, la comunicazione, l’apprendimento, la memoria e, più in generale, la salute mentale. «Nella definizione di disabilità confluiscono categorie di pazienti molto diverse tra loro – afferma l’oncologa Paola Varese, Presidente del Comitato Scientifico di FAVO -. Per una valutazione corretta ed esaustiva, occorre considerare un’ampia serie di fattori: il tipo di disabilità, le limitazioni correlate, la proporzione tra beneficio atteso e probabilità di effetti collaterali di un trattamento, l’interferenza delle cure oncologiche con quelle per la malattia preesistente, l’aspettativa di vita, i desiderata di un paziente e la presenza di un caregiver o di un amministratore di sostegno».
L’esempio più calzante per descrivere questa complessità è rappresentato dai pazienti affetti da una malattia neurologica infiammatoria (come la sclerosi multipla o altre malattie demielinizzanti) o degenerativa (come l’Alzheimer e il Parkinson) che scoprono di avere anche un tumore. «Molti trattamenti oncologici, come l’immunoterapia, potrebbero aggravare il decorso di queste malattie. Altri, come la chemioterapia a base di platino e taxani, peggiorare i sintomi sensitivi a causa degli effetti collaterali diretti dei trattamenti. Questa elevata complessità si traduce spesso in ridotte opportunità di cura a causa della mancata integrazione tra i servizi», rimarca la specialista. «Mai come in questo contesto è necessaria una pianificazione assistenziale integrata, con una valutazione multidisciplin
A ciò occorre aggiungere che le persone con disabilità possono ammalarsi più facilmente di cancro. Un aspetto dovuto a diversi fattori, che chiamano in causa gli stili di vita (maggiore attitudine al fumo di sigaretta e alla sedentarietà), la necessità in alcuni casi di sottoporsi più di frequente a esami radiografici (con un aumento del rischio di sviluppare alcuni tumori legato all’esposizione alle radiazioni ionizzanti) e un generale processo di invecchiamento che tende a manifestarsi in anticipo rispetto alle persone senza disabilità. Due studi pubblicati tra il 2020 e il 2021 hanno evidenziato un rischio più alto per le persone con disabilità di sviluppare alcuni tumori (seno, cervice uterina, colon-retto, prostata
Quanto alle persone con una disabilità intellettiva, la seconda metanalisi coordinata da Anne Boonman (ricercatrice del dipartimento di cure primarie e di comunità del Radboud University Medical Center di Nijmegen, Olanda) ha evidenziato che i pazienti sono più vulnerabili anche durante il percorso terapeutico. Questo, fondamentalmente, per tre ragioni: una maggiore fragilità fisica che più li espone agli effetti collaterali delle terapie, le difficoltà a rispettare il piano terapeutico dall’inizio alla fine e i limiti nella gestione degli aspetti decisionali da condividere con il proprio oncologo durante le terapie. «La disabilità intellettiva ha molteplici sfumature e rappresenta un problema nel problema – chiarisce Varese -. In oncologia, più che in altri settori della medicina, la partecipazione attiva del malato al processo decisionale terapeutico è determinante, in virtù del margine di incertezza sul decorso e del rischio di tossicità. Molti disabili intellettivi non sono riconosciuti tali ai fini della legge e pertanto nessuno è legittimato a decidere in loro vece».
Se dunque sussiste il rischio di cadere in un abbandono terapeutico, come si può offrire un trattamento adeguato a queste persone? Non esistono risposte univoche. I risvolti, oltre che socio-sanitari, sono prima di tutto etici. «Le difficoltà organizzative
Nel nostro Paese le persone che, a causa di problemi di salute, soffrono di gravi limitazioni che impediscono loro di svolgere attività abituali sono circa 3,1 milioni. Un dato che corrisponde al 5,2 per cento della popolazione. Di questa categoria fanno parte soprattutto anziani (quasi 1,5 milioni: di cui 900mila donne). Fino al 2019, anno in cui l’Istat ha pubblicato il primo rapporto sulla disabilità, il 26,9 per cento di questi viveva da solo, il 26,2 per cento con un coniuge, il 17,3 per cento con un coniuge e un figlio, il 7,4 per cento soltanto con un figlio, poco meno del 10 per cento con uno o entrambi i genitori e il restante 12 per cento in altre tipologie di nucleo familiare. La “geografia della disabilità” vede al primo posto le Isole, con un’incidenza del 6,3 per cento (contro il 4,8 per cento che si registra nel Nord della Penisola). Le Regioni nelle quali il fenomeno è più diffuso sono l’Umbria e la Sardegna (rispettivamente, l’8,7 per cento e il 7,3 per cento della popolazione). Veneto, Lombardi
Conclude Iannelli: «Il tracciamento formale della disabilità è un’istantanea molto imperfetta. Non tutte le persone con disabilità hanno accesso alle informazioni corrette per accedere ai benefici di legge connessi con la disabilità stessa: il lavoro delle reti oncologiche deve prendere in carico anche gli aspetti socio assistenziali. Come FAVO ci siamo battuti, assieme all’INPS e all’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM, ndr), per introdurre il certificato oncologico on-line al fine di semplificare, accelerare e migliorare il corretto accertamento dell’invalidità civile. A questi temi abbiamo dedicato ampio spazio negli ultimi anni nei Rapporti dedicati alla condizione assistenziale dei pazienti oncologici. Ma il lavoro da fare è ancora molto. Quello che possiamo promettere è che non lasceremo mai soli i malati, in particolare quelli in condizione di maggiore fragilità anche a causa di una pregressa disabilità psichica, fisica o motoria. E sosterremo con tenacia i valori della sanità pubblica, nell’ottica di una presa in carico globale e continua del malato e della sua famiglia».
Iscriviti alla Newsletter di Sanità Informazione per rimanere sempre aggiornato