Lo studio dell’Università Federico II di Napoli: «La buona notizia è che molte diagnosi che un decennio fa equivalevano a una condanna a morte oggi sono trattabili. Grazie alle nuove tecniche innovative e mininvasive aumenta anche la qualità della vita». Intervista al dottor Alessio Palumbo, specialista in Chirurgia Generale ed esperto in patologie gastrointestinali
È la seconda neoplasia più diffusa tra le donne occidentali (dopo quello alla mammella) e il terzo più diffuso negli uomini (dopo prostata e polmone). Parliamo dei tumori del colon retto e, nonostante le campagne di screening e le cure sempre più mirate ne stiano riducendo la mortalità, le diagnosi (circa 55mila ogni anno) sono in aumento. Le cause? Alimentazione, fumo, abuso di alcol, obesità, sedentarietà e inquinamento ambientale. Quest’ultimo fattore, in determinate realtà, diventa preponderante.
A Napoli abbiamo intervistato il dottor Alessio Palumbo, specialista in Chirurgia Generale ed esperto in patologie gastrointestinali, il quale, presso l’Università Federico II di Napoli, sta portando avanti uno studio per appurare la correlazione tra l’inquinamento ambientale dovuto al fenomeno “Terra dei Fuochi” e il picco di incidenza di neoplasie in quei territori.
«Ai miei pazienti dico sempre che “siamo ciò che respiriamo e ciò che mangiamo” – spiega Palumbo -, una grande catena in cui ha un ruolo importante anche la genetica. È fondamentale che le istituzioni in Campania si adoperino, come già accade in altre Regioni come il Veneto e la Lombardia, per ufficializzare una volta per tutte il nesso tra l’insorgenza di nuovi tumori, tra cui il cancro colorettale, e l’inquinamento ambientale. Attualmente non sappiamo quanto il fenomeno Terra dei Fuochi ci abbia realmente penalizzato in ambito oncologico; dal mio canto – continua Palumbo – sto conducendo studi per determinare, a livello statistico, una differenziazione su base provinciale: ci sono infatti delle aree, come l’Acerrano e il Nolano, che sono state più pesantemente contaminate, e sono da monitorare anche nell’ottica di una bonifica concreta. Sarebbe interessante comparare i dati delle aziende sanitarie locali per valutare l’insorgenza e la prevalenza di nuovi tumori, ma questi studi attualmente non esistono».
La prevenzione caso per caso. «La prevenzione del cancro del colon e del retto (ricordiamo che nonostante la terminologia clinica tenda ad accomunarli, è molto importante distinguere tra i due tumori) è fatta di piccoli accorgimenti – spiega il dottore -. Innanzitutto, a partire dai 40 anni, sottoporsi alla ricerca del sangue occulto fecale: un esame semplice, di routine, assolutamente non invasivo. Fare poi un’attenta anamnesi familiare e patologica per evidenziare eventuali casi in famiglia di cancro colorettale o patologie genetiche come la poliposi familiare, la sindrome di Lynch, la sindrome di Gardner, che accendono campanelli d’allarme e abbassano l’età consigliata per sottoporsi alla colonscopia, l’unico esame che permette di valutare il colonretto del paziente anche attraverso un’analisi bioptica e scorgere la presenza di una neoplasia».
Nuove tecnologie e trattamento chirurgico. «Oltre alla chirurgia laparoscopica – spiega il dottor Palumbo – un grande supporto viene dalla robotica, grazie alla quale l’intervento è più “pulito” e le complicanze vengono minimizzate. Nei casi dei tumori rettali, infatti, la robotica ci consente una magnificazione dell’immagine e una fluidità e precisione dell’atto chirurgico che né la chirurgia open né quella laparoscopica ci dà. Tutto questo però – aggiunge – deve essere modulato sul paziente, in base alle sue condizioni cliniche, alla stadiazione della sua neoplasia. Non in tutti i casi, insomma, la robotica è la scelta migliore rispetto alla laparoscopia o alla chirurgia a cielo aperto, è necessario valutare per ogni singolo caso, in scienza e coscienza, la tecnica più indicata».
Preservare la qualità della vita. «La chirurgia colorettale ha fatto negli ultimi anni passi da gigante. Gli interventi, spesso supportati da tecniche mininvasive come appunto la laparascopia e la robotica, permettono di intervenire in modo più preciso e mirato possibile. Anche in caso di patologia avanzata o metastatizzata è possibile avvalersi delle chemioterapie neoadiuvanti al fine di citoridurre la massa. Persino le metastasi epatiche e peritoneali, la cui diagnosi fino a poco tempo fa equivaleva ad una sentenza, oggi con l’utilizzo di farmaci biologici, di una chirurgia selettiva e di nuove tecniche innovative come la chemioipertermia intracavitaria – la HIPEC – possono essere aggredite efficacemente. Questo ha portato non solo all’allungamento della vita del paziente, ma anche ad un miglioramento in termini di qualità della vita».