“Ascoltami ora” è il progetto dell’associazione “Adolescenti e Cancro” che raccoglie le esperienze in prima persona dei ragazzi oncologici e delle loro famiglie per sensibilizzare l’opinione pubblica sulla realtà dei tumori pediatrici
Condividere la propria esperienza, raccontare e raccontarsi, imprimere nero su bianco paure e speranze. Da sempre il potere terapeutico della scrittura aiuta ad affrontare meglio lo stato di malattia, la condizione estrema di vulnerabilità psicofisica. Soprattutto se, a raccontare la propria storia, sono adolescenti malati di cancro, o i loro genitori. Perché si sa, “quando un bambino ha il cancro, ce l’ha tutta la sua famiglia”. Ed è proprio da un intento di condivisione e sensibilizzazione sul tema che prende le mosse il progetto del libro “Ascoltami ora – storie di bambini e ragazzi oncologici”, ideato dalla presidente dell’Associazione di volontariato “Adolescenti e Cancro”, Maricla Pannocchia. Le storie raccontate offrono uno spaccato reale su quello che significa, per un bambino, un adolescente e le loro famiglie, rapportarsi con l’esperienza del cancro, ma rappresentano anche uno spunto di riflessione necessario sulle problematiche che investono il mondo dell’oncologia pediatrica, come la scarsità di fondi dedicati alla ricerca sui tumori infantili. Il ricavato delle vendite del libro, tolte le spese vive, sarà devoluto ai progetti dell’Associazione “Adolescenti e Cancro” e al progetto a Pristina (Kosovo) della Fondazione Cure2Children Onlus.
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«Uno degli obiettivi per il quale nasce questo progetto – spiega la dottoressa Pannocchia – è dare alle persone la possibilità di conoscere la realtà della malattia oncologica in età pediatrica direttamente da chi ha vissuto quell’esperienza. Tutte queste storie, e i loro protagonisti, inoltre, fanno parte della nostra mostra fotografica online intitolata (IN)VISIBILI». Il progetto del libro si inserisce, come accennavamo, nella cornice più ampia dell’Associazione di volontariato “Adolescenti e Cancro” fondata dalla dottoressa Pannocchia nel 2014. «L’associazione nacque con lo scopo di riunire e mettere in contatto i ragazzi di tutta Italia che dai 13 ai 24 anni si trovavano ad affrontare l’esperienza della malattia. Naturalmente questo filone è ancora mantenuto, ma vi si sono aggiunte le numerose attività ricreative che organizziamo, come le gite durante le quali i ragazzi si confrontano, stanno insieme e vivono una situazione di normalità, una pausa dalla malattia».
Il bisogno di sensibilizzare e di condividere è lo stesso che anima anche il libro. «Io credo – afferma Pannocchia – che di cancro in età pediatrica non si parli poco, ma si parli in modo sbagliato. Mi spiego: prima di fondare l’associazione, non avendo esperienze dirette di questa patologia, credevo che ammalarsi di cancro così giovani in un qualsiasi Paese civile come l’Italia significasse avere automaticamente accesso alle migliori cure. Non avevo idea della scarsità di fondi dedicati a quest’ambito dal momento che il cancro pediatrico è considerato malattia rara, né degli effetti collaterali così severi delle terapie, come il chemobrain, la sensazione di confusione mentale e vuoti di memoria che sempre più pazienti accusano a seguito dei trattamenti. Ecco perché credo sia così importante sensibilizzare la popolazione, senza usare termini tecnici e gergo medico, ma puntando sul lato umano, che credo sia quello che arrivi di più».
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Una delle storie inserite nel libro è quella di Anna, che oggi ha 23 anni, e a cui all’età di 15 fu diagnosticato un linfoma di Hodgkin. Ed è a lei che chiediamo di raccontarci la sua esperienza. «A causa di alcuni linfonodi ingrossati feci delle analisi da cui risultò una forte anemia. Nel giorno del mio quindicesimo compleanno fui sottoposta ad ulteriori esami, e quello stesso giorno arrivò la diagnosi: linfoma di Hodgkin al quarto stadio. Nonostante la situazione fosse tutt’altro che rosea, non ebbi paura. Le prime cure sortirono i risultati sperati, i linfonodi erano spariti già dopo la prima seduta di chemio. Soffrivo però molto gli effetti collaterali – ammette Anna -, la nausea e poi la perdita dei capelli. Anche le radioterapie fecero effetto, e a circa 9 mesi dalla diagnosi ero ufficialmente in remissione. Purtroppo però dopo poco più di un anno è arrivata una recidiva. Ricominciare tutte le cure da capo è stata una mazzata. Soprattutto perché sembravano non funzionare così bene come le prime. A quel punto sì che ho avuto paura della morte. Per fortuna – aggiunge – dopo una cura sperimentale a Roma e un autotrapianto di midollo per consolidamento, la malattia è sparita. Oggi sono esattamente cinque anni da quando ho effettuato il trapianto, faccio i controlli e va tutto bene».
Scrivere ha aiutato moltissimo Anna, come ci racconta lei stessa: «La possibilità di raccontare la mia storia mi ha dato un grande sollievo. Ricordare non mi causa sofferenza e anzi, far sì che la mia esperienza possa essere d’aiuto o anche solo d’incoraggiamento a qualcuno mi rende felice. Io stessa non ho mai perso la speranza anche grazie ai racconti di altre persone che come me sono riusciti a uscirne. Credo sia importante continuare a parlare e a sensibilizzare l’opinione pubblica sui tumori infantili. Soprattutto se, come nel mio caso, le cause sono sicuramente imputabili a una vera emergenza, quella della Terra dei Fuochi, la zona dove io vivo. Ho visto ammalarsi – conclude Anna – troppe persone e troppi giovani a me vicinissimi, tra cui la mia migliore amica e suo fratello: per questo è ancora più importante far sentire le nostre voci».
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