L’arruolamento nei protocolli di ricerca consente maggiori chance terapeutiche. Gori (ROPI): «Fondamentale aumentare l’informazione per pazienti e professionisti»
«Il cancro oggi non è più una condanna una morte, e questo grazie alla ricerca». È una frase che suona come un mantra, che chiunque nella vita si è trovato a leggere, a dire, a sentire. Ma è sull’ultima parola che vale la pena soffermarsi: la ricerca, che non è un concetto astratto ma si nutre e va avanti anche grazie alla collaborazione dei pazienti stessi, attraverso l’adesione agli studi clinici. Eppure, oggi in Italia sono meno di 5 su 100 i pazienti oncologici che accedono ai protocolli di ricerca, con un dato sovrapponibile a quello Stati Uniti d’America, dove circa il 3% dei pazienti oncologici adulti viene arruolato negli studi clinici.
Troppo pochi. Ed il dato scarso si traduce non solo in minori chance terapeutiche per i pazienti, ma anche in una minore quantità di linfa vitale per la ricerca, generando un circolo vizioso da cui è necessario uscire. Ne abbiamo parlato con la dottoressa Stefania Gori, direttore del dipartimento oncologico dell’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria di Negrar (VR) e presidente di ROPI (Rete Oncologica Pazienti Italiani).
«In Italia abbiamo ogni anno circa 376mila nuovi diagnosi di tumori maligni, esclusi i tumori cutanei e le riprese di malattia dopo diagnosi pregresse. Il basso dato di arruolamento nei trial clinici dipende da vari fattori: innanzitutto da quanta ricerca clinica viene svolta, quindi dal numero di studi clinici autorizzati e portati avanti nelle varie strutture oncologiche italiane, da quante risorse vengono destinate alla ricerca clinica oncologica e alle figure professionali in essa coinvolte, e ad un’informazione probabilmente non adeguata nei confronti dei pazienti. Ricordiamo che per il paziente oncologico partecipare ad uno studio clinico rappresenta un’opportunità terapeutica ulteriore, e di essere quindi trattato con dei farmaci non ancora disponibili dal SSN».
«Se all’interno della struttura oncologica presso cui è preso in carico il paziente è presente uno studio clinico e se il paziente risponde ai requisiti di inclusione in quello studio, viene proposto al paziente l’arruolamento, non prima di avere adeguatamente illustrato le opzioni terapeutiche che il protocollo di ricerca prevede, tenendo conto che la maggior parte degli studi condotti in Italia sono studi di fase 2 o fase 3. In questi ultimi si attua un confronto tra un farmaco nuovo e un trattamento standard. Il paziente arruolato negli studi randomizzati di fase 3 viene informato del fatto che in maniera casuale sarà assegnato o al braccio del trattamento standard (vale a dire il trattamento che avrebbe ricevuto nella pratica clinica) oppure al braccio del nuovo farmaco.
In alcuni studi i pazienti sanno in quale braccio sono stati collocati, in altri studi invece né i pazienti né i medici sperimentatori ne sono a conoscenza (il cosiddetto doppio cieco) per evitare qualsiasi influenza e condizionamento sulla valutazione dei risultati. Negli studi clinici di fase 3 i nuovi farmaci antitumorali vengono studiati per valutarne un’eventuale superiorità in termini di efficacia, oppure un’efficacia equivalente al trattamento standard ma una minore tossicità, il tutto a tutela del paziente. Inoltre, è chiaro che la maggior parte degli studi clinici sui nuovi farmaci riguardano le patologie oncologiche a maggior incidenza tra la popolazione».
«La maggior parte dei pazienti, quando viene correttamente informata sull’opportunità di essere arruolato in uno studio clinico, si dimostra favorevole. È sicuramente importante quindi la modalità di comunicazione adottata dagli oncologi su questo aspetto, al tempo stesso sta aumentando la sensibilità e la consapevolezza rispetto ai benefici che possono essere offerti da questi nuovi trattamenti. Come ROPI (Rete Oncologica Pazienti Italiani) abbiamo intrapreso un percorso informativo nei confronti dei pazienti, dei cittadini e dei professionisti per aumentare la consapevolezza sul significato della ricerca in campo oncologico e dell’arruolamento nei protocolli di ricerca: i grandi progressi compiuti in Oncologia in ambito diagnostico e terapeutico sono stati la conseguenza diretta dell’applicazione della ricerca, tant’è vero che circa il 40% degli studi autorizzati ogni anno dall’AIFA sono studi in campo oncologico».
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