Carlo Tondini (Direttore Oncologia Medica, Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo): «Nell’attuale crisi emergenziale, risparmiare una chemioterapia non essenziale con l’utilizzo dei test genomici protegge le pazienti affette da tumore al seno, più vulnerabili al rischio di Covid-19, e contribuisce al contenimento della pandemia»
Si stima che siano più di 50mila, in Italia, le donne che ogni anno vengono colpite dal cancro al seno. La maggior parte di queste, dopo l’intervento chirurgico per la rimozione del tumore, viene sottoposta alla chemioterapia per evitare il ritorno della malattia. Chemioterapia che, come si sa, spesso causa nausea, perdita di capelli, infertilità, stanchezza e un incremento del rischio di contrarre infezioni, soprattutto nel momento in cui tutto il mondo, ed in particolare gli ospedali, sono alle prese con l’epidemia di Covid-19.
Eppure, la ricerca ha dimostrato che solo una minoranza delle pazienti con un tumore al seno in stadio precoce e senza interessamento linfonodale trova sostanziale giovamento dalla chemioterapia. Al contrario, alla grande maggioranza delle pazienti tale trattamento e le relative tossicità possono essere risparmiate. Ma come individuare le pazienti che hanno più probabilità di trarre beneficio dalla chemio? I criteri normalmente seguiti nella pratica clinica per decidere un trattamento sono basati su fattori quali l’età o la grandezza del tumore; ma oggi la medicina di precisione e la genomica consentono di ottenere risposte molto più accurate.
L’analisi genomica dei tessuti tumorali consente infatti di caratterizzare al meglio il tumore e prevedere le sue probabilità di crescita e di risposta al trattamento. Eseguiti su un piccolo campione di tessuto prelevato durante l’intervento chirurgico, i test genomici in questione, tra cui OncotypeDX, Mammaprint, Endopredict, Prosigna ROR, sono da qualche tempo disponibili sul mercato e sono indicati, dalle maggiori società scientifiche oncologiche internazionali e nazionali, come test utili per ottimizzare la terapia precauzionale (terapia ormonale o chemioterapia) in pazienti selezionate con diagnosi di tumore al seno di tipo ormone-sensibile (HR+/HER2-).
«Risparmiare una chemioterapia non essenziale è sempre stato un obiettivo importante per un oncologo – commenta Carlo Tondini, Direttore Oncologia Medica dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo -. E questo ha un significato di particolare rilievo nell’attuale crisi emergenziale, poiché se è vero che tutta la popolazione è ugualmente esposta al rischio di Covid-19, è altrettanto vero che all’interno della popolazione generale vi sono persone più fragili e vulnerabili, tra cui i pazienti oncologici. In questa condizione, l’opportunità di risparmiare trattamenti chemioterapici non essenziali, con l’utilizzo dei test genomici, da un lato protegge le pazienti affette da tumore al seno dall’indebolimento indotto dalla chemioterapia, e dall’altro ne riduce la necessità di accesso ospedaliero, con migliore utilizzo delle risorse sanitarie e minor circolazione di pazienti e familiari negli ospedali, a maggior vantaggio del contenimento pandemico».
In particolare, il test Oncotype DX è supportato da una serie di studi clinici di validazione: «Tra i test genomici attualmente disponibili per le pazienti con tumore al seno – spiega Alberto Zambelli, Dirigente Medico Oncologia Medica dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo – è quello più estesamente studiato con studi clinici prospettici e risultati raccolti da oltre 100mila pazienti. Ciò fornisce un elevato livello di evidenza a sostegno della validità clinica del test. Ad oggi, il test è stato utilizzato da oltre un milione di pazienti in tutto il mondo per orientare le decisioni terapeutiche ed è stato incluso in tutte le più importanti Linee Guida sul tumore al seno». E uno studio condotto in Lombardia su 400 pazienti ha dimostrato che «1 paziente su 2 ottiene di risparmiare una chemioterapia potenzialmente inutile, con enormi vantaggi personali e conseguenti vantaggi economici per il sistema sanitario, dal momento che i costi diretti e indiretti del singolo programma di chemioterapia eccedono di quasi tre volte quelli del singolo test genomico», aggiunge Zambelli.
Ad oggi, tuttavia, solamente Lombardia e Alto Adige rimborsano questi test genomici, mentre nel resto d’Italia le pazienti possono accedere ai test solo pagando di tasca propria tra i 2mila ed i 3mila euro: «Ci chiediamo – specifica Tondini – se non sia giunta l’ora che l’Italia si muova rapidamente, e in modo omogeneo, per estendere l’accesso e la rimborsabilità di test genomici, per esempio inserendoli nei LEA, soprattutto in questa fase della persistenza per i prossimi mesi di questa pandemia. È innanzitutto una questione di equità e di buona politica sanitaria. Infatti questi test, se usati bene, si sono dimostrati sicuramente capaci di ottimizzare la cura del tumore al seno, risparmiare chemioterapie inutili, contenere i costi sanitari e infine potrebbero contribuire a mitigare il rischio pandemico di Covid-19», conclude.
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