Presentati al San Antonio Breast Cancer Symposium i risultati dello studio Destiny-Breast01: la risposta del tumore al Trastuzumab Deruxtecan ha raggiunto il 60,9%. Curigliano (IEO): «Il lavoro migliore, cambierà la pratica clinica. L’Italia agevoli l’accesso alle terapie innovative»
Il mondo della ricerca sul cancro al seno si è dato appuntamento a San Antonio, in Texas. All’ombra della Tower of the Americas, è infatti in corso il San Antonio Breast Cancer Symposium. Tra gli appuntamenti più rilevanti a livello mondiale dedicati al cancro al seno, quest’anno ha attirato più di 7400 partecipanti provenienti da mezzo mondo, riunitisi per scoprire i piccoli e grandi traguardi che la ricerca sul carcinoma mammario continua a raggiungere nel tentativo di migliorare l’aspettativa e la qualità di vita delle donne colpite dal tumore al seno. Nonostante i progressi compiuti negli ultimi anni, quelli che riguardano il carcinoma mammario sono infatti ancora numeri importanti: 1,4 milioni i nuovi casi e più di 450mila le morti che causa nel mondo ogni anno; ma a 5 anni dalla diagnosi, il tasso di sopravvivenza delle pazienti è pari al 90%.
Tre le grandi categorie in cui il cancro al seno viene generalmente suddiviso in base alle sue caratteristiche molecolari: nella maggior parte dei casi (il 75%) si tratta di tumore HR+ (che possiede molti recettori per gli ormoni femminili); il 20% dei casi è rappresentato da neoplasie di tipo HER2 positivo (caratterizzato da un’espressione elevata della proteina HER2, che favorisce la moltiplicazione delle cellule malate); infine, il tumore più aggressivo e più difficile da trattare, il triplo negativo, che in genere colpisce le donne più giovani. Ma è sul secondo tipo, l’HER2 positivo, che si sono concentrati molti degli studi presentati a San Antonio in questi primi giorni.
«Sicuramente il lavoro migliore che è stato presentato è il Destiny-Breast01 – è l’opinione del professor Giuseppe Curigliano, direttore del dipartimento di sviluppo di nuovi farmaci per le terapie innovative dell’Istituto Europeo di Oncologia -. I dati sono impressionanti e destinati a cambiare realmente la pratica clinica».
I risultati dello studio cui fa riferimento il professor Curigliano sono stati presentati al SABCS da Daiichi-Sankyo e AstraZeneca e pubblicati su The New England Journal of Medicine. Si tratta di uno studio globale di fase II sul DS-8201 ([Fam-] Trastuzumab Deruxtecan), un farmaco anticorpo-coniugato che attacca l’HER2 in pazienti affette da carcinoma mammario metastatico HER2-positivo. In pratica, un farmaco nato dall’unione di un chemioterapico ed un anticorpo in grado di ridurre la tossicità, seppur inviando 8 molecole di chemioterapico per ogni anticorpo, e di agire non solo sulla cellula tumorale target ma anche su quelle vicine.
I risultati dello studio mostrano una risposta oggettiva del tumore nel 60,9% delle pazienti che avevano ricevuto due o più trattamenti anti-HER2. Nel 97,3% dei casi la malattia non è progredita (percentuale di controllo) e la durata mediana della risposta è stata di 14,8 mesi, con una sopravvivenza mediana libera da progressione di 16,4 mesi.
Risultati particolarmente significativi, considerato che il farmaco «ha comportato un elevato livello di riduzione duratura del tumore nelle pazienti, la maggioranza delle quali aveva esaurito la maggior parte delle terapie standard per il trattamento di questo tipo di carcinoma mammario», come commenta Ian E. Krop, capo associato della Divisione Breast Oncology del ‘Susan F. Smith Center for Women’s Cancers, Dana-Farber Cancer Institute’.
Sono in corso altri trial della serie Destiny, e le aspettative sono particolarmente alte per il Destiny-Breast04, che mette a confronto l’efficacia di questo farmaco innovativo con la classica chemioterapia. Ma i risultati ottenuti dalle prime due fasi del Destiny-Breast01 fanno ben sperare: «Questa è la prima generazione di nuovi anticorpi-coniugati, ma stiamo già lavorando alla seconda», annuncia in conferenza stampa Gilles Gallant, direttore della ricerca oncologica di Daiichi Sankyo.
Ora si attende che l’iter presso l’Agenzia Europea del Farmaco sia intrapreso e concluso nel più breve tempo possibile per rendere il farmaco disponibile per le pazienti. Ma sono proprio occasioni come queste che offrono lo spunto per un paragone tra l’Italia ed altri Paesi del mondo sull’accesso all’innovazione. Ed è il professor Curigliano a lanciare il tema: «In Europa, e in particolare in Italia, questo è un grosso problema». Cosa fare, allora per facilitare le cose? «Intanto invito tutti i miei colleghi ad includere i pazienti nei trial – risponde Curigliano -. E poi invito le istituzioni a regolamentare in maniera più semplice le fasi degli studi. Quello che adesso serve al nostro Paese è avere leggi più leggere e controlli meno sofisticati dal punto di vista burocratico per garantire ai nostri pazienti l’accesso alle terapie innovative».
«Dopodiché – aggiunge – quando la terapia offre un chiaro vantaggio bisogna negoziarne rapidamente il prezzo tenendo in considerazione l’innovatività del farmaco ma anche l’impatto reale che offre. E in questo senso – conclude Curigliano – i dati che abbiamo visto nel corso di questi primi giorni di simposio qui a San Antonio non lasciano dubbi. Il beneficio che questo farmaco può dare ai pazienti è massimo».