Il Presidente della Società Italiana Ricerca Cannabis spiega a Sanità Informazione cosa aspettarci dopo l’annuncio del Sottosegretario Costa
La serie di bandi indirizzati ad aziende pubbliche e private annunciata dal Sottosegretario alla Salute Andrea Costa renderà l’Italia un Paese all’avanguardia nell’utilizzo della cannabis medica? Da una situazione di sostanziale dipendenza dagli altri Paesi (Olanda, Canada e Spagna), in quanto non ci si può basare unicamente sull’unico produttore italiano (lo Stabilimento Chimico Farmaceutico Militare di Firenze), potremmo davvero renderci totalmente autonomi o diventare addirittura degli esportatori? Tra le realtà che hanno seguito più da vicino questa evoluzione (molto diluita negli anni) c’è la Società Italiana Ricerca Cannabis.
«È dal 2018 che chiediamo al Ministero della Salute la possibilità di poter avere accesso ad una maggior quantità di cannabis medica», spiega a Sanità Informazione Paolo Poli, Presidente di Sirca. «In occasione del nostro ultimo congresso – continua –, abbiamo parlato con il Sottosegretario Costa proprio di questo. Evidentemente ha poi parlato con il Ministro Speranza che gli ha dato l’ok all’emanazione di questi bandi».
Verrebbe da dire finalmente, perché se la legge che consente la prescrizione di questo tipo di farmaci risale al 2007, è solo dal 2012 che il nostro Paese ha cominciato ad importarlo dall’Olanda. Ciò significa che i medici non potevano prescriverla in quanto non ce n’era. «All’epoca – spiega ancora Poli –, avevamo un solo tipo di cannabis e come formulazione solo quella del decotto».
Con il tempo si sono aggiunti dei fornitori (come appunto lo stabilimento di Firenze) ma la distribuzione dei medicinali a base di cannabis non è mai decollata del tutto. I motivi sono vari: «Prima di tutto, esistono ancora pochi studi scientifici che dimostrano le proprietà curative della cannabis – spiega il Presidente di Sirca –. Ciò comporta che molti medici non si fidano e preferiscono usare altri prodotti. Anche perché la cannabis è “off label”». Anche le farmacie che “estraggono” la cannabis sono poche. Per tutti questi motivi, insomma, il settore non è ancora esploso, «anche se il primo medicinale a base di cannabis registrato al mondo è italiano».
«Al momento – spiega Poli –, non c’è una carenza eccezionale. I pazienti attuali sono coperti. Il problema sono i numeri in prospettiva». Insomma, ad oggi non abbiamo particolari problemi ma in futuro potremmo averne. Renderci autonomi nella produzione dei farmaci derivati dalla cannabis avrebbe un impatto positivo sugli approvvigionamenti ma anche nella distribuzione: «Se mettiamo nelle mani di aziende private la produzione della cannabis medica – spiega Poli –, queste faranno il necessario per allargare la domanda. Ciò comporterà un aumento degli studi sull’argomento, un maggiore interesse dei professionisti sanitari e un aumento del numero delle farmacie che lavorano quel tipo di medicinali».
Insomma, grazie a questa innovazione l’Italia potrebbe diventare una nazione indipendente negli approvvigionamenti di cannabis medica e una delle poche a poter esportare le quantità eccedenti: «Si potrebbe fare – consiglia il Presidente Poli – come in Olanda, in cui aziende private vendono agli altri Paesi attraverso il Ministero della Salute, che ne garantisce la qualità».
Si tratterebbe dunque di una sorta di investimento che dovrebbe comportare nuovi posti di lavoro, maggiori guadagni per tutti i componenti della filiera, un maggiore sviluppo della ricerca e del ricorso ai farmaci derivanti dalla cannabis e introiti per le casse pubbliche in termini di nuove esportazioni e tassazioni. Tutto ciò senza contare una verosimilmente migliore qualità della vita dei pazienti che ricorrono a questo tipo di cure.
Ma se le prospettive sono davvero così buone, come mai ci siamo arrivati così tardi? Secondo Poli la questione si sarebbe dipanata così lentamente nel corso degli anni per «una questione politica. Da un lato è stata fatta volutamente confusione tra la cannabis medica e quella cosiddetta “terapeutica”. Il Cbd che vendono questi negozietti aperti relativamente da pochi anni, tra l’altro a prezzi elevatissimi, viene spacciato per la panacea di tutti i mali. Dall’altro è stata fatta confusione anche tra cannabis medica e cannabis ricreativa. Noi di Sirca siamo contrari alla liberalizzazione, in quanto esistono diversi studi che dimostrano che la cannabis fa molto male ad un cervello in sviluppo come quello di un ragazzino».
Insomma, “interessi” politici avrebbero rallentato lo sviluppo di una seria e moderna medicina a base di cannabis. Poi però, anche grazie all’attività di realtà come Sirca e alle Regioni che «premevano sul Ministero per creare delle imprese di produzione e distribuzione cannabis», si è capita la differenza che c’è tra settori che, tra di loro, hanno solo in comune la pianta di partenza ma di certo non gli usi né, tantomeno, gli effetti.
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