Facciamo chiarezza con Barbara Illi, ricercatrice Cnr. Perché il Sudafrica ha sospeso il vaccino AstraZeneca e cosa significa “non protegge dalle forme leggere”? Si possono mischiare i richiami di vaccino come sta facendo il Regno Unito? Le varianti di Covid-19 ci costringeranno a ricominciare i vaccini da capo?
Efficace solo al 10% contro forme moderate della variante sudafricana di Covid-19. Il vaccino Oxford-AstraZeneca affronta l’ennesima controversia, dopo la decisione del Sudafrica di sospendere la somministrazione del siero a causa dei risultati di un’indagine preliminare. Uno studio che però gli esperti hanno definito troppo piccolo per poter mostrare dati definitivi, nonché per mettere in allarme un intero Paese.
Le varianti di Covid-19 sono ormai un problema reale per tutto il mondo. Il Regno Unito, che combatte strenuamente quella inglese, continua a sperimentare nuove soluzioni di somministrazione. Prima la decisione di inoculare solo una dose a persona e di fare la seconda più avanti, per cominciare il processo di immunizzazione in più soggetti possibile. Ora parte uno studio randomizzato che prevede di mischiare dosi di vaccini diversi, più e meno efficaci, come ad esempio Pfizer e AstraZeneca. Ma si tratta di soluzioni percorribili?
Sanità Informazione ha raggiunto la dottoressa Barbara Illi, specializzata in Genetica Medica, ricercatrice presso il Consiglio Nazionale delle Ricerche per un chiarimento sulla situazione mondiale.
Dunque AstraZeneca non copre la variante 501Y.V2 dal Sudafrica? «Bisogna chiarire – spiega – che parliamo di uno studio preliminare effettuato su pazienti giovani, con età media di circa 31 anni, e ha evidenziato che i sieri di questi pazienti vaccinati con AstraZeneca non riuscivano a neutralizzare un virus con quella mutazione specifica ingegnerizzata in laboratorio». Il campione di pazienti era molto piccolo e si trattava di «uno studio immunologico non completo». Ovvero «fatto su cellule in vitro e guardando solo l’immunità anticorpale e non quella cellulare».
La dottoressa tiene a ricordare che negli studi di fase 3 pubblicati da AstraZeneca si evince che il vaccino sia efficace contro la malattia più che contro l’infezione. Dunque si è preservati dalle forme gravi, evitando l’ospedalizzazione, ma si può comunque contrarre il virus. «Un simile studio sui sieri dei vaccinati Pfizer mostrerebbe invece che questo neutralizza anche l’infezione, spiegando la maggiore efficacia rispetto ad AstraZeneca», continua. Una differenza che c’era già dagli studi di fase 2, in cui il vaccino inglese si ferma al 60% di efficacia, senza test su individui over 55.
«Se noi andiamo a considerare un individuo che si ammala in maniera leggera produce anche meno anticorpi, un giovane vaccinato che incontra Spike non produce un livello di anticorpi tale da poter poi neutralizzare una variante». «Tutti noi speriamo – aggiunge – che questi vaccini ci proteggano anche dalla trasmissione del virus perché significherebbe tornare a una vita normale. Ma la vaccinazione riduce innanzitutto le ospedalizzazioni ed è questo che ci serve per ora».
Si tratta comunque di “una questione di tempo”. AstraZeneca è già a lavoro per implementare il vaccino adattandolo alle varianti. «Cambiare la sequenza implica un paio di mesi, poi la trafila industriale necessita di più tempo». Un lato positivo è che il prodotto Pfizer mostra già di funzionare contro la variante sudafricana, ad esempio, risparmiando tempo e portando avanti la campagna vaccinale.
È proprio per sfidare il tempo che il Regno Unito ha deciso di provare strategie diverse per immunizzare più persone possibile. L’ultima: quella di mischiare dosi di vaccini diversi per i richiami. Ma la dottoressa Illi la bolla come «una decisione politica». In carenza di vaccini, l’Uk procederà a varie combinazioni con circa 800 volontari. «Ci saranno gruppi di controllo con solo AstraZeneca e solo Pfizer in due dosi, per studiare se anche ritardando la seconda dose il vaccino funziona ugualmente. Altri gruppi in cui proveranno prima una dose AstraZeneca e poi il richiamo Pfizer e viceversa, sia a distanza di 28 giorni che di 12 settimane», illustra la ricercatrice. «Ma la sperimentazione durerà 13 mesi – continua – e noi in un anno speriamo di essere fuori dalla pandemia».
«Bisogna attenersi ai protocolli pubblicati, altrimenti si diventa anti-scientifici. Nella storia non è mai successo di mischiare i richiami e un protocollo che funziona non si abbandona», insiste Illi. Il Regno Unito agisce in questo fuori dalle righe. «Bisognerebbe essere chiari con i cittadini: “facciamo una sperimentazione sul campo, ora siete tutti volontari”, prima di ritardare le seconde dosi a data da definirsi».
Potrebbe succedere in Italia? «Non credo, l’Aifa si attiene rigidamente a quello che è stato studiato. Per questo, anche se l’Ema ha dato il suo ok, abbiamo deciso comunque di somministrare AstraZeneca solo ai soggetti su cui ci sono studi, ovvero sotto i 55 anni». Il che porterà, secondo il piano vaccinale italiano, ad anticipare le vaccinazioni dei soggetti più giovani: insegnanti, militari e detenuti.
«Alla lunga potrebbe mostrarsi positivo – spiega l’esperta -. Limitare la gravità della malattia anche nei giovani permette di curarsi a casa e affretta il percorso del virus nel diventare un’influenza stagionale e poco importa se sarà necessario vaccinarsi ogni anno».
Intanto, nell’attesa di ulteriori approvazioni, l’Italia valuta anche il prodotto russo Sputnik V. «Inizialmente molto bistrattato in quanto la Russia è partita senza nemmeno i dati di fase 1 – commenta la dottoressa – in realtà sul Lancet il vaccino si mostra molto efficace: al 90%». Si tratta di una “strategia mix”, per così dire. «Sputnik è un mix tra il vaccino di CanSino, a vettore virale, e quello Johnson&Johnson, con un adenovirus umano indebolito, che serve per ingannare il sistema immunitario» spiega l’esperta. Superando il “problema” rappresentato dai vaccini a sola base di adenovirus, da cui viene anche il normale raffreddore e a cui il nostro corpo è in parte già abituato. Ad oggi «lo sceglierei al posto di AstraZeneca, seguendo i dati».
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