Otto mesi fa la firma dei decreti attuativi per garantire la gratuità del test a tutte le donne d’Italia: solo la metà delle regioni si sono attrezzate per erogare il servizio in convenzione con il SSN. La regione Lazio è l’ultima in ordine cronologico. Ecco perché e per chi è importante questo test. L’intervista al professor Genuardi
Evitare l’inutile esposizione agli effetti della chemioterapia. È questo lo scopo del test genomico per il carcinoma mammario che, dopo una lunga battaglia dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica (Aiom), dal mese di luglio 2021, spetta gratuitamente a tutti in tutta Italia. O meglio, così dovrebbe essere. In otto mesi, infatti, solo la metà delle regioni italiane si è attrezzata per erogare il servizio in convenzione con il SSN. La regione Lazio, adeguatasi nel mese di marzo 2022, è l’ultima in ordine cronologico.
«Grazie a questo test genomico è possibile stabilire se la chemioterapia, in aggiunta alla terapia ormonale, è realmente necessaria dopo la chirurgia, evitando così inutili tossicità», spiega Maurizio Genuardi, direttore dell’Istituto di Medicina Genomica dell’Università Cattolica di Roma e della Uoc di Genetica medica della Fondazione Policlinico universitario Agostino Gemelli Irccs. Si stima che, in Italia, ogni anno, siano circa 10 mila le donne colpite da tumore del seno in fase iniziale che possono beneficiare di questa tipologia di test genomici.
«Il test è indicato per le donne che hanno un carcinoma mammario, ma non hanno sviluppato ancora metastasi. Analizzando una serie di marcatori molecolari è possibile ottenere degli indici di probabilità di rischio di una recidiva della malattia, sulla base dei quali si può decidere se una chemioterapia adiuvante è davvero necessaria. In tal modo – sottolinea il professore – non solo si potranno evitare i risvolti tossici che la chemio ha sul corpo, ma anche quelli, non meno negativi, che ha sulla psiche».
Oltre a questo test genomico, ne esistono altri, altrettanto gratuiti, utili a definire il miglior percorso terapeutico per ciascuna donna. «In particolare, l’analisi dei geni BRCA1 e BRCA2 può guidare verso l’uso di particolari farmaci o precise tipologie di intervento chirurgico – aggiunge lo specialista -. L’analisi di questi due geni permette di stabilire la predisposizione ereditaria allo sviluppo di tumori della mammella, dell’ovaio e del pancreas. Alle donne con carcinoma mammario positive al test, che può essere eseguito su un campione istologico o ematico, ad esempio, può essere consigliato di asportare entrambe le mammelle (mastectomia bilaterale), a scopo preventivo».
A sensibilizzare l’opinione pubblica su questo tipo di intervento è stata l’attrice Angelina Jolie che, attraverso un articolo sul New York Times, quasi dieci anni fa, annunciò di aver subito una doppia mastectomia preventiva, facendo crollare il suo rischio di sviluppare un tumore al seno dall’87% al 5%. «In quegli anni – racconta Genuardi – erano ancora poche le donne che accettavano di sottoporsi ad un intervento di questo tipo. Oggi, la maggioranza di coloro che risultano positive al test, e quindi a rischio elevato, decidono di sottoporsi all’intervento per l’asportazione di entrambe le mammelle».
Il test genomico per il carcinoma mammario e l’analisi dei geni BRCA1 e BRCA2 potrebbero essere, ben presto, supportati da altri esami genetici in grado di offrire un ulteriore miglioramento dei percorsi terapeutici. «La medicina del futuro punta alla personalizzazione delle cure», assicura il direttore dell’Istituto di Medicina Genomica dell’Università Cattolica di Roma. E non si tratta di un futuro lontano: al policlinico Gemelli, infatti, è attualmente in corso uno studio che va proprio in questa direzione.
«Abbiamo avviato un progetto sperimentale grazie al quale, previo consenso informato, le persone sottoposte a biopsia consentono che sul proprio campione istologico venga effettuato un ulteriore esame molecolare che analizza circa 500 diversi marcatori genici. Questo pannello genetico raccoglie e analizza tutti quei geni che in diversi tipi di tumore sono risultati alterati e individuati come bersagli di specifiche terapie. Considerando che, attualmente, i geni BRCA1 e BRCA2 risultano alterati solo nel 30% delle donne, il nostro obiettivo – conclude Genuardi – è di poter offrire una terapia personalizzata ed efficace anche al restante 70%».
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