I camici bianchi dei servizi sanitari di base rischiano “scomparsa”. Primato italiano di anzianità dei medici: il 51,5% ha superato i 55 anni di età. Ripa di Meana: «Paura innovazione e cambio regole pensionamento incentivano uscite». Le Regioni: «Siamo al lavoro per ampliare borse di studio»
Un nuovo allarme arriva a funestare il mondo dei camici bianchi. Questa volta a lanciarlo è la Fiaso, la Federazione delle aziende sanitarie pubbliche, e il tema è ancora quello della carenza di medici che nei prossimi anni potrebbe assumere dimensioni drammatiche.
Secondo i dati, in Italia nei prossimi 5 anni mancheranno 11.800 medici. Ad oggi, abbiamo ancora più medici degli altri Paesi Ue con sistemi sanitari simili, ma da qui al 2022 tra uscite dal lavoro e numero contingentato di nuovi specialisti mancheranno 11.803 dottori, anche se si andasse ad un totale sblocco del turn over. Lo studio è stato presentato in occasione dell’Assemblea annuale della Federazione delle aziende sanitarie pubbliche ed è svolto su un campione rappresentativo di 91 aziende sanitarie e ospedaliere, pari al 44% dell’intero universo sanitario pubblico. Un quadro preoccupante che si va ad aggiungere alla ormai acclarata carenza di medici di famiglia e specialisti che nei prossimi 5-10 anni prenderà dimensioni sempre più importanti anche a causa dei molti pensionamenti.
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Secondo la Fiaso nei prossimi otto anni, i medici dei servizi sanitari di base “scompariranno”, mentre gli igienisti si ridurranno del 93% e i patologi clinici dell’81. Internisti, chirurghi, psichiatri, nefrologi e riabilitatori si ridurranno a loro volta di oltre la metà, anche se il maggior numero di cessazioni dal lavoro in termini assoluti si avrà tra gli anestesisti, che lasceranno in 4.715 da qui al 2025. Se un medico su tre lascia il servizio pubblico per motivi diversi dai sopraggiunti limiti di età, uno specializzato su quattro opta anche lui per altro, come il lavoro nel privato, in convenzione o magari all’estero. Il primo dato a saltare all’occhio, sottolinea la Fiaso, è il primato italiano di anzianità dei medici, che nel 51,5% dei casi hanno superato i 55 anni di età, contro il 10% del Regno Unito, il 20% o poco più di Olanda e Spagna. Secondo le proiezioni Fiaso, da qui al 2025 complessivamente 40.253 medici compiranno i 65 anni, mediamente buoni per il pensionamento, ma le cessazioni saranno molte di più: 54.380. In pratica, rileva l’associazione, “il 35% dei medici, uno su tre, lascia il servizio sanitario pubblico per motivi diversi dai sopraggiunti limiti di età”.
«Le uscite anticipate dei medici dal servizio pubblico – spiega il presidente Fiaso Francesco Ripa di Meana – hanno varie ragioni, come la paura dell’innovazione organizzativa e tecnologica e di veder cambiare in peggio le regole del pensionamento, oppure il dimezzamento necessario dei posti di primario, che ha finito per demotivare tanti medici a proseguire una carriera oramai senza più sbocchi». Dalla Fiaso giungono però delle proposte per trasformare l’emergenza in una opportunità di miglioramento dei servizi: ciò, spiega Ripa di Meana, attraverso «una maggiore valorizzazione delle professioni non mediche, maggiore integrazione tra medici di base, pediatri di libera scelta e medici ospedalieri». Altra proposta, afferma, è impiegare i «medici neo laureati per la gestione dei pazienti post acuzie dopo un affiancamento con tutor esperti». Innovazioni, rileva, «già in atto in molte nostre Aziende e che possono trasformare in opportunità di miglioramento dei servizi la criticità del fabbisogno di medici nel nostro Paese».
All’allarme della Fiaso hanno replicato le Regioni con la voce di Sergio Venturi, Presidente del Comitato di Settore Regioni-Sanità e Assessore della Regione Emilia-Romagna: «Le Regioni sono da mesi a lavoro con il Ministero della Salute e il Ministero dell’Istruzione, Università e ricerca per ampliare il numero delle borse di studio dei medici specializzandi e per prime hanno denunciato i pericoli legati a una carenza di personale sanitario soprattutto nei pronto soccorso», spiega Venturi che aggiunge: «Inoltre le aziende sanitarie e ospedaliere sanno bene gli sforzi che le singole Regioni stanno facendo per finanziare con risorse proprie ulteriori borse di studio».