Il titolare della Sanità sarda difende la riforma della rete ospedaliera regionale: «Problema non è la carenza di servizi, ma un eccesso di servizi mal distribuiti che molto spesso non raggiungono i volumi indicati e suggeriti dal Piano nazionale esiti». Poi rilancia la medicina multiprofessionale per affrontare cronicità
Invecchiamento della popolazione, aumento delle malattie croniche e delle polipatologie. È una delle sfide della sanità italiana e una delle priorità dell’Assessore alla Sanità della Regione Sardegna Luigi Benedetto Arru, alle prese in questi mesi con un piano di riordino della rete ospedaliera sarda fortemente contestato dalle opposizioni ma che lui difende con passione. «O noi affrontiamo i problemi anticipandoli o altrimenti il sistema sanitario italiano si troverà in grosse difficoltà», afferma Arru a Sanità Informazione a margine del 75esimo Congresso Fimmg a Chia. L’assessore poi mette in guardia sul tema della carenza di medici, una problematica che per ora non tocca la sanità isolana (la Sardegna è la regione italiana con il più alto numero di medici per 10mila abitanti), ma che rischia di esplodere con la prossima riforma delle pensioni: «Dobbiamo monitorare perché se sono veri gli allarmi sul cambiamento della formula di pensionamento rischieremmo di trovarci una crisi per il numero di soggetti che andrebbero via con la quota cento».
Assessore, anche quest’anno il Congresso FIMMG si è svolto in Sardegna, che impressione ha avuto?
«Una sensazione di vitalità estremamente positiva. Lo stimolo è l’effetto trainante del segretario Scotti per cercare di risolvere uno dei problemi che si sta trascinando da anni: il ruolo fondamentale della medicina generale in un contesto che vede il rapido invecchiamento della popolazione e una policronicità delle patologie. O noi, come è stato detto molto chiaramente da terze parti come la CGIA di Mestre o dall’Inps, affrontiamo i problemi anticipandoli o altrimenti il sistema sanitario italiano si troverà in grosse difficoltà. Ho trovato un sistema molto disponibile a ragionare, speriamo che si arrivi rapidamente a un contratto nazionale. Noi come regioni siamo pronti a modificare l’accordo integrativo regionale con nuove risorse per cercare di arrivare a forme di medicina in gruppo, multiprofessionale perché questo tipo di squadre sono necessarie per affrontare questo cambiamento importante dell’età media della popolazione e delle polipatologie».
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Un tema che riguarda anche i medici di medicina generale è quello della carenza di camici bianchi. Nella vostra regione si sente questo problema?
«La Regione sarda ha una particolarità: ha un numero di medici, secondo il dato del ministero, più alto delle regioni italiane per diecimila abitanti. Li abbiamo mal distribuiti, c’è anche in Sardegna il fenomeno della curva demografica per cui c’è un’età media avanzata, stiamo cercando di ragionare e di mettere risorse aggiuntive per avere più medici di medicina generale, più medici dell’emergenza urgenza. È fondamentale. Penso che una delle azioni che dovrebbe fare più rapidamente possibile il governo è trovare una corrispondenza superiore tra numero di laureati e numero di posti nelle scuole di specializzazione così come forse è da aumentare, è già stato fatto un passaggio importante anche grazie all’accordo con il collega Saitta in rappresentanza degli assessorati, il numero di borse disponibili per il corso di formazione in medicina generale. Ma sicuramente dobbiamo monitorare perché se sono veri gli allarmi sul cambiamento della formula di pensionamento rischieremmo di trovarci una crisi per il numero di soggetti che andrebbero via con la quota cento».
Lei sta portando avanti un piano di riordino della rete ospedaliera che ha suscitato diverse reazioni e anche delle osservazioni del ministero. Sono rientrate queste osservazioni?
«Le osservazioni del Ministero sono paradossalmente per un eccesso di assistenza, per un eccesso di frammentarietà. Il vero problema in Sardegna non è la carenza di servizi, ma un eccesso di servizi mal distribuiti che molto spesso non raggiungono i volumi indicati e suggeriti dal Piano nazionale esiti. Quindi la percezione dei cittadini è quella di avere un sistema di questo tipo qui. Noi cerchiamo di informarli che non è un corretto modo di fare sanità e di offrire salute ai cittadini. È difficile ma stiamo cercando di farlo capire».