200mila italiani soffrono di celiachia ma si stima che 6 milioni di persone consumano alimenti privi di glutine senza essere malati. I dati presentati al 3° Congresso Nazionale di SINuC (Società Italiana di Nutrizione Clinica e Metabolismo) in corso a Torino dal 6 all’8 giugno
In Italia soffrono di celiachia, ossia infiammazione cronica dell’intestino scatenata dall’ingestione di un complesso proteico, il glutine, quasi 200mila italiani certificati e, per qualche motivo ancora sconosciuto, le donne si ammalano con una frequenza doppia rispetto agli uomini ma il dato, secondo il ministero della Salute, sarebbe ampiamente sottostimato e si sospetta che la malattia non sia stata ancora diagnosticata in quasi 500mila persone. Eppure si stima che 6 milioni di italiani, consumino alimenti privi di glutine. Un numero assai maggiore di quello atteso sulla base dei dati epidemiologici, ovvero sommando i soggetti allergici, affetti da celiachia o dermatite erpetiforme e da sensibilità non celiaca al glutine (NCGS). Si tratta quindi di un fenomeno diffuso con conseguenze “originali” sul piano clinico e sociale.
La celiachia è una malattia autoimmune di cui non esiste cura se non con l’eliminazione del glutine dalla dieta, provocata cioè dall’attacco del sistema immunitario a una parte dell’organismo stesso, l’intestino tenue, e si sviluppa solo in individui geneticamente predisposti. Mentre la sensibilità non celiaca al glutine è una intolleranza ad alcune proteine del grano, tra cui gli inibitori della tripsina, e sarebbe, secondo alcuni, 6 volte più frequente della celiachia.
Nei celiaci il glutine scatena una reazione infiammatoria che danneggia i tessuti del piccolo intestino, determinando un malassorbimento degli altri nutrienti, con rischi per la salute a lungo termine e associazione con altre patologie quali diabete di tipo 1, dermatiti, osteoporosi, anemia, infertilità, cefalea, solo per citarne alcune. A questo esercito di pazienti si aggiungono quelli che lamentano appunto una sensibilità non celiaca al glutine, circa il 6% della popolazione con sindromi gastrointestinali come gonfiore, dolore addominale, diarrea e cefalea, ma senza veri danni ai tessuti intestinali per i quali può essere adatta una dieta che escluda la proteina incriminata.
«Questa discrepanza è data dalla percezione – errata- che la dieta priva di glutine possa essere più ‘sana’, indurre perdita di peso o permettere migliori performances sportive – avverte il gastroenterologo Mauro Bruno dell’AO Città della Salute e della Scienza di Torino in occasione del 3° Congresso Nazionale di SINuC – Società Italiana di Nutrizione Clinica e Metabolismo in corso a Torino dal 6 all’8 giugno -. In realtà, nulla di tutto questo è mai stato dimostrato in letteratura, ed anzi vi sono solidi elementi per affermare che la dieta priva di glutine è più povera in fibre, acido folico, calcio ed altri minerali e più ricca in grassi saturi, sodio e calorie. Inoltre, espone ad un inutile esborso economico: l’Associazione Italiana Celiachia (AIC) ha infatti stimato che ogni anno, in Italia, vengono spesi 105 milioni di euro in prodotti privi di glutine senza che ve ne sia una reale necessità clinica»
«Per qualche motivo è passata l’idea che il glutine faccia ingrassare e che eliminandolo dalla tavola, si faccia retrocedere l’ago della bilancia – spiega il Professor Maurizio Muscaritoli, Presidente della SINuC – . Concetto che nasconde un tranello, poco noto a coloro non avvezzi a leggere con la dovuta attenzione le etichette dei prodotti: i dolci gluten-free sono spesso più ricchi in calorie, zuccheri, sodio e grassi per compensare la mancanza della proteina e migliorarne sapore e consistenza».
«Resistono, a proposito di questa patologia, convinzioni ormai superate dalle attuali conoscenze scientifiche e che occorre assolutamente sfatare – spiega il dottor Mauro Bruno – ; ad esempio, non è vero che si tratta di una condizione che tipicamente riguarda bambini e giovani adulti. Fino al 25% delle diagnosi vengono poste dopo i 60 anni di età. Oppure che la celiachia si accompagni ad un maggiore rischio di tumori. Studi recenti hanno ridimensionato le stime precedenti: la mortalità per neoplasia è sostanzialmente identica a quella della popolazione non celiaca. Errato anche credere che siano ammesse saltuarie trasgressioni alla dieta: la quantità di glutine in grado di provocare un danno istologico intestinale è inferiore a 50 mg, in pratica poco più di una briciola di pane».
Il Professor Maurizio Muscaritoli ricorda che «il trattamento della patologia si basa su un regime dietetico che escluda in maniera assoluta e a vita il glutine, quindi grano certamente, ma anche frumento, segale, orzo, farro e kamut mentre sono permessi riso e mais e i prodotti certificati per assenza di glutine ormai ampiamente disponibili in commercio e a carico del SSN. La novità è che la celiachia si manifesta sempre più in maniera camaleontica con sintomi atipici come l’anemia e la perdita di massa ossea, spia di un malassorbimento di nutrienti. Mentre in altri casi i sintomi sono dermatiti e alopecia ossia perdita di capelli che solo dopo un lungo iter vengono ricondotti alla intolleranza al glutine».