Accolto dalla Corte d’Appello di Torino il ricorso di un lavoratore che ha utilizzato il telefono aziendale per anni e ha sviluppato poi una forma tumorale. L’Inail dovrà corrispondere un vitalizio, ma la scienza sul tema continua ad essere divisa. Il dottor Attanasio: «È vero che non ci sono evidenze scientifiche ma non si può escludere che un’esposizione continua a radiofrequenze non faccia danni»
Orecchie “tappate”, dolore e disturbi uditivi. È iniziato così il calvario di un ex lavoratore di un’azienda italiana a cui è stato diagnosticato un tumore benigno al cervello ed è stato asportato il nervo acustico. Inizialmente non ha pensato ad un collegamento tra le tante ore passate, per anni, al telefono per gestire il suo lavoro e il neurinoma che l’ha colpito. Poi, ha deciso di procedere per vie legali per farsi riconoscere la malattia professionale. E i giudici gli hanno dato ragione. Una prima volta nel 2017 e ora in secondo grado: l’Inail verserà all’uomo la rendita vitalizia.
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«La sentenza della Corte di Appello di Torino ha stabilito che c’è un nesso tra l’uso prolungato del cellulare e la forma di tumore benigno che ha colpito l’uomo, il neurinoma del nervo acustico – ha spiegato a Sanità Informazione il dottor Giuseppe Attanasio, medico specialista in Otorinolaringoiatria presso il Policlinico Umberto I di Roma e responsabile scientifico di corsi di formazione ECM sul tema -. In realtà però, il legame non è stato dimostrato dalla comunità scientifica: non esistono, ad oggi, dati certi a conferma che l’uso del cellulare causi una patologia neoplastica. E meno che mai – continua il medico – una patologia neoplastica benigna come il tumore del nervo acustico che è un fibroma del nervo». Ma è anche vero, però, che in realtà i giudici non hanno definito la causalità, ma hanno utilizzato una legge, quella di copertura, che dimostra come fosse più probabile che l’uso del cellulare da parte del soggetto avesse causato il tumore piuttosto che non ne fosse stato la causa. I giudici – specifica il dottor Attanasio – non sono entrati nel merito scientifico». La legge scientifica di copertura a cui si riferiscono i magistrati “supporta l’affermazione del nesso causale secondo i criteri probabilistici è più probabile che non”.
All’interno della comunità scientifica, infatti, la sentenza ha scatenato un vero e proprio dibattito sulle conseguenze nocive dell’utilizzo frequente degli smartphone e tra chi, basandosi sugli studi finora pubblicati, ritiene che sia impossibile dimostrare il ruolo “causale” del cellulare.
Dall’ultimo Rapporto dell’Istituto superiore di sanità dello scorso agosto sugli eventuali effetti cancerogeni dell’esposizione a radiofrequenze emerge che «l’uso del cellulare non risulta associato all’incidenza di neoplasie nelle aree più esposte alle radiofrequenze durante le chiamate vocali e non rileva incrementi dei rischi di tumori maligni (glioma) o benigni (meningioma, neuroma acustico, tumori delle ghiandole salivari) in relazione all’uso prolungato, superiore ai dieci anni, dei telefoni mobili».
«Per quanto riguarda la letteratura scientifica non esiste la probabilità. O c’è un’evidenza scientifica o non c’è, non ci può essere una legge di probabilità – sottolinea Attanasio -. Questa è la differenza tra legislazione e ricerca scientifica che utilizzano criteri diversi. In linea generale, posso affermare che è vero che non ci sono evidenze scientifiche ma non si può neanche escludere che un’esposizione continua a radiofrequenze non faccia danni. Di sicuro, c’è un aumento di temperatura delle aree direttamente interessate, anche di quelle uditive».
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Con il passare degli anni, per lavoro o per uso personale, siamo sottoposti ad un’intensa esposizione alle radiofrequenze. La domanda, allora, è: “Ci sono rischi per la nostra salute?”. «L’uso del cellulare – continua il medico otorino – soprattutto senza auricolari o vivavoce ma tenendo il telefono direttamente vicino al padiglione auricolare, aumenta la temperatura della zona auricolare e quindi anche delle vie uditive nervose. Questo è già stato accertato da numerosi usi scientifici. Di sicuro, qualche modificazione fisiologica c’è: che questo poi possa provocare un tumore non è certo. Noi ci basiamo sui dati dell’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC), del 2011, che definisce i campi elettromagnetici a radiofrequenza “possibili cancerogeni per l’uomo”, nella categoria 2B. I gruppi sono: il gruppo 1, in cui il cancerogeno è certo, il gruppo 2A in cui è probabile e il gruppo 2B in cui è possibile. Esistono però – prosegue il medico – altri studi più recenti, australiani e polacchi, che li inseriscono nel gruppo 2B come un “cancerogeno probabile”. Quel che è sicuro, è che i campi elettromagnetici da radio frequenze al contrario delle radiazioni, non rompono il DNA, ma aumentando la temperatura del sistema uditivo possono provocare un danno funzionale».
In conclusione, secondo il dottor Attanasio è bene affidarsi al buon senso e alla responsabilità utilizzando cautele e accortezze: «Il cellulare va tenuto lontano dal padiglione auricolare, meglio usare il vivavoce anziché gli auricolari. E poi va ridotta l’esposizione, in termini di tempo. Inoltre – conclude il medico – è necessario continuare a indagare su questo argomento e i medici si devono aggiornare consultando pubblicazioni più recenti che si basano su un numero di pazienti sempre più alti, non ci si può basare su studi vecchi. I campi elettromagnetici da radiofrequenza sono nocivi, è ormai acclarato ma per dare una scientificità c’è bisogno di una statistica significativa. Gli studi, comunque, vanno tutti in questa direzione».
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