Il direttore scientifico Carlo Federico Perno: «Virus destinato a restare. Attenzione alle frontiere, se rientra a settembre sarà ancora emergenza»
Distanziamento sociale e controllo delle frontiere e dei flussi migratori per evitare che in autunno si riaccenda la miccia e riesploda l’emergenza. Un appello agli italiani e alla politica del professor Carlo Federico Perno, responsabile scientifico del più grande studio realizzato fino ad oggi sul sequenziamento del coronavirus in una stessa area geografica. La zona presa in esame è la Lombardia e a realizzarlo sono stati i ricercatori dell’Ospedale Niguarda di Milano e del San Matteo di Pavia con il sostegno di Fondazione Cariplo.
«Abbiamo sequenziato tutto il virus presente nei pazienti ed abbiamo avuto una serie di indicazioni – spiega il professor Perno, in forza al Niguarda nei mesi scorsi ed oggi direttore di biologia dell’Ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma -. Il virus era già presente in Lombardia, quando è stato scoperto a Codogno, da almeno un mese. Non solo: è rimasto uguale, nella sua consistenza, mentre la malattia ora è meno invasiva perché, grazie ad una maggiore consapevolezza, viene affrontata prima. Questo è un elemento che ci permette di pensare che un vaccino possa essere efficace».
«Infine, abbiamo rilevato che in Lombardia dal mese di gennaio girava un virus di due ceppi differenti, uno a sud, nella zona di Codogno e Cremona, e l’altro più a nord tra Brescia e Bergamo. Questo significa che le entrate del virus sono state molteplici, quasi nello stesso periodo. Il problema è che la Lombardia, per le sue caratteristiche economiche ed industriali, si è terribilmente prestata ad attivare autostrade multiple per il virus che è stato difficile da gestire. Ragione per cui oggi dobbiamo evitare assolutamente che rientri dalle frontiere, proveniente dai Paesi dove è attualmente endemico – ammette Perno -, altrimenti riavremo l’ondata autunnale. Molto dipende da noi e dalle nostre scelte personali e politiche».
Proprio analizzando i dati raccolti tra il 22 febbraio e il 4 aprile 2020, che hanno fatto emergere due ceppi: con la lettera A viene identificato quello più a nord che ha investito Bergamo e comuni limitrofi, e con B quello riferibile a Cremona e Lodi. Appare evidente che gli scambi commerciali che caratterizzano la Lombardia siano stati il lascia passare di un virus che a fine gennaio circolava già, nelle due varianti, sul territorio Lombardo.
Due ceppi comunque molto simili (solo 7 mutazioni su 30 mila basi di genoma virale li differenziano), il che significa una stabilità del virus che ben si presta ad essere trattata da un vaccino che, a conti fatti, sembra essere la via maestra per vincere la battaglia contro il coronavirus. «È la strada privilegiata, perché questo virus che è strutturato per restare a lungo, ha due cugini: la SARS che risale al 2003 ed è morto e sepolto e quello che si chiama MERS che non riesce a fare il salto di specie e quindi è debole dal punto di vista della trasmissione. Differente il Covid che invece si trasmette molto bene, ed è fatto per restare. Quindi il vaccino è la risposta giusta, ma non l’unica, perché se noi riuscissimo a mantenere i criteri di distanziamento sociale che impediscono al virus di trasmettersi, potremmo ottenere ottimi risultati anche senza il vaccino o in attesa».
Dare una tempistica alla realizzazione del vaccino è impossibile. Lo stesso Perno non è in grado di esporsi e ricorda che «ci vogliono anni per testare la validità di anticorpi in grado di bloccare un virus. E soprattutto – aggiunge – i test devono essere fatti su individui sani quindi in primis deve essere sicuro ed efficace e deve essere certificato. Sono dubbioso, ma mi auguro di avere torto, visto che qualcuno sostiene che avremo un vaccino a fine anno. Spero arrivi per il 2021, ma soprattutto che funzioni e sia sicuro. La mia paura è che la fretta possa generare danni peggiori che non avere il vaccino».
Segnali positivi arrivano però dalle cure, come la terapia del plasma che per Perno resta, ad oggi, una delle più convincenti, anche se deve essere ancora rifinita. «Si tratta di uno strumento eccellente se viene usato bene – chiosa -. Noi ancora oggi non sappiamo con certezza quante persone hanno anticorpi neutralizzanti dopo l’infezione. La sfida più imminente quindi è riuscire ad individuare chi li produce, altrimenti l’uso del plasma diventa inutile».
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