Dai sindacati l’invito a chiarire come funzionerà l’inserimento dell’Ifc e a valorizzare tutte le figure professionali coinvolte nelle attività territoriali
La strutturazione della figura dell’Infermiere di famiglia e di comunità (Ifc), all’interno del Distretto, può offrire un contributo necessario e importante. Può aiutare a garantire, attraverso la presa in carico anche domiciliare dei casi, l’individuazione precoce della malattia, la prevenzione delle complicanze, la gestione delle cronicità e non ultimo la riduzione del sovraccarico sui Pronti Soccorso e sugli Ospedali. È quanto si legge nel testo di Fp Cgil, Cisl Fp, Uil Fpl consegnato nel corso dell’audizione presso la commissione Igiene e Sanità del Senato sul Ddl 1346 (infermiere di famiglia), nel sottolineare la necessità che «l’Ifc sia alle dipendenze del Servizio sanitario nazionale».
Partendo da questo assunto, fanno notare i sindacati, «non appare chiarissima la finalità del Ddl in ordine alla natura della figura che si vuole disciplinare: l’Ifc è attualmente oggetto di formazione post laurea ma, com’è noto, non è una professione sanitaria a sé». Fp Cgil, Cisl Fp, Uil Fpl rilevano che «non essendo a oggi la figura oggetto di accordo Stato-Regioni, ai sensi della L.43/2006 non appare chiaro come finirebbe per inserirsi l’infermiere di famiglia e di comunità istituito dal Ddl, nell’attuale quadro normativo che regola le professioni sanitarie e le figure di natura specialistica, col rischio di ingenerare ulteriore “confusione”».
Così come, proseguono, «desta più di una domanda quanto disciplinato dall’art. 2 comma 2 del Ddl, in quanto indica in modo non equivocabile che l’attività prevista sia da considerarsi non in continuità con quella di carattere ospedaliero, ma in alternativa, disegnando così uno scenario nel quale, a parità di patologia, sia possibile trattare pazienti o in ospedale o al domicilio. Viene da chiedersi, perciò, in un contesto in cui le strutture ospedaliere sono da tempo e in maniera assoluta dedicate alle acuzie, quali patologie possano essere trattate più appropriatamente di quanto non accada ora presso il domicilio del paziente. Questa previsione, inoltre, non risulta coerente con i contenuti del successivo art. 4 il quale, nell’attribuire le competenze all’infermiere di famiglia le fa in gran parte coincidere in termini di funzioni con quelle ora attribuite all’assistenza domiciliare».
Quest’ultima misura, inoltre, «oltre a correre il rischio di ingenerare processi confusivi e sovrapposizioni di competenze, se messa in coerenza con la previsione di rapporti di lavoro di natura esclusivamente convenzionale, potrebbe far intravedere il rischio di un massiccio processo di dismissione della gestione diretta da parte del Ssn di queste funzioni. Il che risulta in netto contrasto con la scelta di un Ssn basato sull’integrazione e sulla continuità fra percorsi ospedalieri e percorsi territoriali e in profonda antitesi con quanto emerso durante l’emergenza Covid-19 sulla necessità di potenziare il ruolo del Distretto e delle attività in esso incluse».
Infine, «ma prioritario in termini d’importanza» per Fp Cgil, Cisl Fp, Uil Fpl, «c’è il tema della tipologia del rapporto di lavoro, convinti come siamo che la dipendenza sia la strada di gran lunga migliore e più sicura per garantire sia i cittadini che chi lavora. In questi anni abbiamo misurato con mano, e la tragedia della pandemia l’ha messo di fronte agli occhi di tutti, i danni prodotti da un sostanziale depauperamento e da una progressiva precarizzazione dell’occupazione del nostro servizio sanitario nazionale, così come quelli derivanti da un’eccessiva frammentazione dei processi organizzativi e clinici legati al sistema delle cure primarie».
La scelta operata dal Ddl in questione, «che modificando l’articolo 3 del Dlgs 502/92 inserisce l’Infermiere di famiglia e di comunità quale ‘terzo pilastro’, dopo i Medici di Medicina Generale e i Pediatri di Libera Scelta, ma come soggetto esterno e in convenzione rispetto ai servizi a gestione diretta delle aziende sanitarie, rischia invece di decontestualizzarne l’intervento dal sistema delle cure primarie, smentendo in parte le condivisibili intenzioni riguardo il fatto che l’Infermiere di famiglia e di comunità debba agire in un contesto multi-professionale e quale parte integrante di quel sistema.Tale scelta, se confermata, andrebbe in direzione contraria a ciò che sarebbe necessario fare in tema di riforma del sistema delle cure primarie, e cioè ricondurre ad unità, nella sua complessità, la presa in carico e la continuità assistenziale delle persone».
«Riteniamo invece che nella strutturazione dell’Infermiere di famiglia e di comunità all’interno delle attività distrettuali, sia necessario apportare modifiche atte alla creazione di una rete assistenziale e di presa in carico che coinvolga, oltre che lo stesso infermiere, anche le professioni sanitarie ostetrica, tecnico sanitarie, della riabilitazione e della prevenzione, professioni sanitarie che compiutamente rispondono all’attuale esigenza di salute sul territorio, definendone con chiarezza la piena autonomia, determinando la loro dipendenza, come quella di tutti i professionisti interessati, da direzioni delle professioni sanitarie affidati ai relativi direttori dando piena attuazione a quello che è il dettato normativo della 251/2000. Mai come in un momento delicato come questo per il Paese è fondamentale che la politica sappia cogliere tutte le esigenze per meglio rispondere alla tutela della salute dei cittadini”, concludono.
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