Negli Usa i dermatologi sono favorevoli ad utilizzare la telemedicina anche ad emergenza rientrata. L’esperto italiano: «Sarà compito degli specialisti indicare quali tipologie di visite possono essere svolte a distanza e dovere del Sistema Sanitario assicurarne la fattibilità»
A causa della pandemia molti medici sono stati costretti a ricorrere alla telemedicina sia per effettuare visite, che per mantenere il contatto con i propri pazienti. Negli Usa questa tecnologia ha conosciuto un vero e proprio boom tra i dermatologi e oggi sta diventando una prassi sempre più consolidata. Nell’ultimo anno, la sua diffusione è aumentata dal 14,1 al 96,9% e oltre la metà di chi l’ha utilizzata prevede di continuare a farlo anche dopo che l’emergenza sarà rientrata.
In Italia, come negli Stati Uniti, è stata l’esplosione del Covid-19 ad aver incrementato l’utilizzo della teledermatologia, anche se i primi esperimenti risalgono ad oltre vent’anni fa. «La diffusione della telemedicina negli Usa, anche in passato, è stata favorita da due principali fattori – spiega Pietro Rubegni, professore ordinario e direttore dell’Unità Operativa Complessa dell’Azienda Universitaria Ospedaliera di Siena – . Innanzitutto, la presenza di molte zone rurali, lontane dai centri abitati, rende poco agevoli gli spostamenti dei residenti. Poi, il sistema sanitario, fondato per lo più sul privato-assicurativo, ha indirizzato i pazienti verso la telemedicina, una soluzione più economica rispetto alle visite in presenza. La diffusione del Covid-19 ha reso questa esigenza ancora più impellente, tanto che la telemedicina ha cominciato a farsi strada anche tra gli italiani, prima per il divieto di spostamento imposto dal lockdown, poi per la paura di relazionarsi all’altro e di essere contagiati».
Non tutte le visite dermatologiche sono adatte alla telemedicina. A confermarlo la stessa ricerca americana condotta da un gruppo di studiosi della Perelman School of Medicine dell’Università della Pennsylvania di Philadelphia, pubblicata su JAMA Dermatology: per il 95,7% degli specialisti intervistati la teledermatologia non è adatta a quelle visite che prevedono l’esame della pelle di tutto il corpo. Al contrario, ci sono delle condizioni che possono essere tranquillamente valutate a distanza, come l’acne che solo per il 2,6% dei dermatologi americani necessita di un incontro vis à vis.
«In Italia – commenta Rubegni – sono ritenute poco adeguate alla telemedicina le prime visite, mentre del tutto appropriate quelle di follow-up. Anche se, all’esplodere della pandemia, il legislatore ha specificato che la telemedicina può essere impiegata pure per effettuare prime visite che non necessitino dell’impiego di particolari apparecchiature, come ad esempio quella utilizzata per la una mappatura dei nei».
La telemedicina, oltre che per determinate patologie, ha mostrato la sua efficacia tra alcune fasce di popolazione. «È un valore aggiunto enorme per il trattamento degli anziani per i quali – sottolinea il dermatologo – gli spostamenti possono risultare molto più che faticosi. È stato proprio pensando a loro che, nei primi anni duemila, ho immaginato di diffondere la telemedicina. Mi sono chiesto come si potesse giustificare una visita in teledermatologia in luoghi, come le città italiane, dove c’è uno specialista ogni tre portoni. E così ho pensato a quei pazienti per i quali anche percorrere un solo km può equivalere ad un viaggio: gli anziani. Da quel momento, in Toscana, abbiamo cominciato ad utilizzare la teledermatologia all’interno delle case di riposo, le attuali RSA, con grande successo».
«Un po’ come accade per tutte le nuove scoperte, al boom seguirà un fisiologico calo – assicura Rubegni -. Questo non significa che la telemedicina sia destinata a sparire quando la pandemia sarà finita, piuttosto dovrà trovare la sua giusta collocazione tra i servizi offerti dal Ssn. Sarà compito degli specialisti indicare quali tipologie di visite possono essere svolte a distanza, lasciando alla libera scelta del paziente la decisione di prenotare presso un ambulatorio fisico o online».
Ma stando alla ricerca americana, prima di arrivare a questo punto qualche ostacolo da superare ci sarà: quasi il 40% dei pazienti ha avuto problemi con la tecnologia e la connessione durante le visite, il 27% ha avuto timori di incorrere in imperizia medica. «La mia esperienza diretta ha dimostrato che anche i più anziani riescono a trovare il modo di collegarsi alla rete, magari cercando il supporto di giovani nipoti. Inoltre, la telemedicina potrebbe permettere di incontrare lo specialista con una cadenza più frequente, così – conclude il professore – da rafforzare il rapporto medico-paziente e diminuire il timore che la distanza possa aumentare la probabilità di errore».
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