Raffaella Cancello (Centro obesità Auxologico Ariosto Milano): «Le persone con un numero elevato di papille sono in media più sensibili ai gusti degli alimenti». Ai quattro gusti principali: dolce, salato, amaro e acido, dopo una scoperta giapponese si è aggiunto il gusto umami e di recente l’oleogusto
“Dimmi cosa mangi e ti dirò chi sei”. Quello che per lungo tempo è stato considerato un detto popolare, in realtà ha una valenza scientifica come hanno messo in evidenza proprio le ultime ricerche. La mappa dei sapori suggerisce che la differente sensibilità dipenda dal numero e dalla densità delle papille gustative che sono protuberanze e insenature della superficie della lingua e sono di quattro tipi: fungiformi, foliate, circumvallate e filiformi, piuttosto che dalla locazione sulla lingua. Variano da individuo a individuo per numero, tipologia e secondo alcuni studi genetici sono suddivisi in tre macrocategorie di percezione gustativa: normo gustatori, non gustatori e super gustatori.
Quindi dal numero di papille si può avere una prima stima sul tipo di gustatori. «È stato osservato che le persone con un numero elevato di papille sono in media più sensibili ai gusti degli alimenti – spiega Raffaella Cancello, responsabile del Centro Obesità Auxologico Ariosto Milano – mentre chi ne ha un numero inferiore tende ad esserlo meno. In quel caso per percepire bene un sapore il soggetto tende perciò ad aumentare lo stimolo con una porzione più abbondante di cibo. Ne consegue che il deficit nella percezione del gusto potrebbe essere un fattore che favorisce l’obesità. Grazie alla mappatura delle papille gustative nelle persone che soffrono di sovrappeso si è visto perciò che hanno una densità minore per unità di superficie e sono meno sensibili, questo significa che quando si verifica uno stimolo, sarà necessario caricare di più l’agente stimolante per percepire la stessa soglia che invece ottiene con poco stimolo, una persona normopeso. Quindi è evidente che sovrappeso e obesità dipendano anche dal numero delle papille che in parte è determinato dalla genetica e in parte dalla capacità di percepire».
Il ruolo dei sapori è fondamentale dunque nella nostra vita, ma il Covid ha privato molti malati della percezione del gusto e dell’olfatto per un certo periodo. In alcuni casi, addirittura, c’è chi ha avuto conseguenze per mesi. Ogni sapore ha un proprio ruolo: «La percezione delle molecole dolci ci permette di identificare e scegliere alimenti ricchi di energia da fornire al nostro corpo – va nel dettaglio l’esperta -. Al contrario l’amaro è generalmente sgradevole perché permette l’identificazione anche di composti tossici, come alcaloidi vegetali che in alcuni casi possono essere velenosi o addirittura mortali». Un discorso analogo vale per il salato che è di primaria importanza in quanto permette di mantenere l’equilibrio elettrolitico del nostro organismo. «Il nostro corpo – aggiunge – perde costantemente ioni sodio (Na+) durante i processi escretori e secretori (urina e sudore) ed è per questo che si cerca il sale (cloruro di sodio). Un ruolo fondamentale spetta poi al gusto acido la cui percezione permette di valutare quando un frutto è maturo o se invece è contaminato e decidere di non mangiarlo. L’acido permette anche di proteggere il nostro corpo dal consumo di acidi in una concentrazione troppo elevata o tale da danneggiare i denti e il sistema digestivo»
I sapori in realtà per essere tali hanno bisogno anche dell’olfatto perché il gusto in senso stretto riguarda solo le sensazioni percepite dalle papille gustative della lingua, mentre la percezione gustativa nel senso più ampio del termine comprende sensazioni gustative, olfattive e trigeminali. Quando si assume un alimento in bocca le molecole sapide si solubilizzano nella salita e stimolano le papille gustative situate sulla lingua, mentre le molecole odorose, che sono volatili, salgono verso al cavità nasale attraverso la parte posteriore del palato molle per stimolare il sistema olfattivo che ci permette di percepire l’aroma, infine si aggiungono sensazioni di consistenza, temperatura, piccantezza o freschezza che sono le sensazioni trigeminali, perché veicolate dal nervo trigemino. È per questo che età, abitudini e igiene sono tre fattori che possono modificare il gusto. «L’invecchiamento, il fumo e la scarsa igiene orale fanno diminuire lo stimolo gustativo – fa notare la dottoressa -. Così come alcune terapie farmacologiche».
Gli ultimi studi sul gusto, grazie a ricerche scientifiche e ad approcci biotecnologici innovativi, hanno permesso di scoprire nuove molecole in grado di mascherare determinati sapori e, al contrario, di esaltare alcuni gusti. Per capire di cosa si tratta è bene ricordare che, alla base di ogni gusto, c’è un sistema di rilevamento chimico che permette di percepire l’estrema diversità delle molecole contenute in cibi e bevande. «Analisi genetiche hanno dimostrato che esistono alcune differenze del patrimonio genetico che spiegano la nostra percezione del gusto, le scelte o le avversità alimentari. La genetica gioca molto su uno dei cinque gusti che è l’amaro. Per questo gusto c’è proprio una genetica che fa suddividere tutta la popolazione in tester, no tester e media tester. I primi sono quelli che percepiscono bene l’amaro e anche se in piccola quantità lo evitano, i no tester non lo percepiscono per nulla, i medium hanno soglie percettive intermedie. Per cui una persona no tester anche di fronte ad un cibo molto amaro non avrà problemi ad ingerirlo; invece, una super tester avrà una avversione immediata. Per altri gusti esiste più un discorso di comportamento, dalle abitudini; quindi, si cerca di ingannare i gusti. Ad esempio, l’aroma di vaniglia fa percepire il gusto dolce e quindi si può utilizzare al posto dello zucchero, in modo da avere comunque un appagamento dal punto di vista sensoriale», dice Cancello.
Si è sempre pensato che l’essere umano fosse in grado di percepire cinque sapori, quattro primari: dolce, acido, amaro e salato e un quinto, meno conosciuto, che si chiama “umami”, riconosciuto per la prima volta in Giappone da un professore dell’Università imperiale di Tokyo. Il termine significa delizioso ed è generato da due dei venti aminoacidi che compongono le proteine: l’acido L’glutammico e l’acido L-aspartico. Recentemente è stato aggiunto all’elenco un sesto che è oleogusto, meglio noto come grasso che, secondo alcune ricerche, sarebbe possibile grazie ad alcune papille gustative specializzate afferenti a fibre nervose in grado di comunicare questa percezione a regioni cerebrali specializzate. «È stato dimostrato che chi è più sensibile al gusto grasso tende a consumare meno cibi che lo contengono», conclude l’esperta.
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