A Sanità Informazione, Michele Lanza, referente del Progetto Chemsex dell’ASA, l’ Associazione Solidarietà AIDS, ripercorre le tappe del chemsex, dalla coniazione del termine nel 2012 ad opera di David Stuart, alla diffusione odierna, incentivata dai social network
Dai poeti maledetti, ai parnassiani, fino all’italiano Gabriele D’Annunzio ed a molte star più o meno contemporanee, l’uso di droghe per accrescere il piacere sessuale e per eliminare i freni inibitori non è una novità. Anche se è solo da un decennio che è stato coniato un termine ad hoc: chemsex. Ad idearlo è stato David Stuart, scrittore, ricercatore e attivista di origine australiana, scomparso nel mese di gennaio di quest’anno.
«Il termine chemsex nasce dalla fusione di chems, termine utilizzato per definire le sostanze stupefacenti di origine chimica e sex, sesso. Quando David Stuart ha coniato questo neologismo, ovvero nel 2012 – racconta Michele Lanza, referente del Progetto Chemsex dell’ASA, l’ Associazione Solidarietà AIDS – erano essenzialmente tre le sostanze utilizzate per le sessioni di chemsex: metanfetamina, catinoni e GHB. Più di recente, poi, la gamma di stupefacenti usati si è ampliata, adattandosi via via a ciò che offre il mercato. In Italia, ad esempio, è possibile osservare tendenze diverse anche da una città all’altra. Nella Capitale è molto in voga la cocaina base libera, ovvero la cocaina fumata, ciò che in America è chiamato Crack. A Milano, tra le sostanze psicoattive più in uso c’è il metilenediossipirovalerone (MDPV)».
«Sin dalle sue origini – continua l’esperto – il chemsex è associato alla comunità MSM (maschi che fanno sesso con maschi). Alla base di questo accostamento ci sono dei motivi ben precisi che ritengo doveroso sottolineare per evitare che qualcuno possa accusarmi di stigmatizzare la comunità MSM. È innegabile che anche tra gli eterosessuali ci sia chi fa uso di alcol e sostanze stupefacenti per “migliorare” la propria performance sessuale. Ma il maschio eterosessuale – dice Lanza – potrebbe non usare le sostanze diffuse tra chi pratica il chemsex, poiché queste non favoriscono l’erezione ma, al contrario, possono comprometterla. La sessualità MSM può riporre nell’erezione un ruolo meno determinante. Ci sono, poi, ragioni ancora più profonde che, negli anni, hanno spinto alla pratica del chemsex nella comunità MSM: l’uso di sostanze aiuta a ridurre l’omofobia interiorizzata e lo stigma che spesso accompagna le persone che vivono con Hiv».
Le origini del chemsex sono senza dubbio londinesi. «È grazie ai social network se, poi, in anni più recenti si è diffuso anche in altri Paesi, Italia compresa. Anche se – dice Lanza -, in America il chemsex è comunemente chiamato “party and play”». Che lo si chiami “alla londinese”, chemsex, o all’americana “party and play”, le sostanze utilizzate e gli scopi per i quali le si assumono non cambiano. Le droghe usate possono essere divise in due grandi categorie: stimolanti, come cocaina e amfetamino-simili e le sostanze ad azione deprimente, come GHB e ketamina. Le seconde hanno un’azione simile all’alcol: nella fase inziale donano una sensazione di benessere, facilitano l’empatia e aumentano l’autostima e la disinibizione. Al contrario – spiega l’esperto – le sostanze stimolanti eccitano. Ma tale eccitazione non è circoscritta alla sola sfera sessuale. Tutto il corpo è sovrastimolato e gli eccessi possono compromettere anche il corretto funzionamento di organi ed apparati, in primis quello cardiocircolatorio, con esiti talvolta letali».
Tuttavia, seguendo alcuni consigli è possibile limitare i danni. «Innanzitutto mai associare l’alcol alle chems, poiché l’alcol aumenta l’effetto delle droghe deprimenti e nasconde la sovrastimolazione dovuta agli stimolanti. Soprattutto in quest’ultimo caso c’è il grave rischio di assumere dosi troppo elevate, in quanto l’effetto ricreativo non va di pari passo con quello tossico. È sconsigliato anche mescolare più sostanze stupefacenti: in caso di malessere non esistono “antidoti” farmacologi, i soccorsi possono solo intervenire sugli effetti tossici, sui sintomi che, nel caso di un mix di droghe, potrebbero essere contrastanti e difficili da gestire tutti insieme», spiega l’esperto.
Ma non è tutto: i danni non sono solo a breve termine. «La maggior parte delle sostanze utilizzate durante il chemsex possono creare dipendenza, rischio che può essere evitato distanziandone il più possibile l’utilizzo. È bene che chi consuma queste sostanze sia sempre affiancato da qualcuno che non facendone uso sia in grado di allertare i soccorsi in caso di necessità – dice Lanza-. È importante sottolineare che non bisogna mai aver paura di chiedere aiuto: in Italia, a differenza di altri Paesi, la detenzione di sostanze stupefacenti per uso personale non è considerata reato e, dunque – conclude l’esperto – non è perseguibile». Non allertare i soccorsi o non farlo in tempo può costare la vita come, purtroppo, non di rado è accaduto.
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