Con la medicina narrativa risponde ad un bisogno di consapevolezza del fine vita. A Sanità Informazione Danila Zuffetti spiega il suo modello, unico in Europa.
Si chiama Danila Zuffetti, ha 37 anni e lavora nell’ambito delle cure palliative. Non è un medico, e neppure uno psicologo, ma una esperta di medicina narrativa applicata alle cure palliative, unica in Italia e in Europa.
«Tutto è nato in maniera inconsapevole – racconta a Sanità Informazione Danila – mi è stato chiesto di cercare delle risposte ad un bisogno emerso nella fase delle cure palliative ed io ho cercato nel mio bagaglio di studi, di carattere pedagogico, la risposta a quel bisogno». Ne è nato un modello che oggi è diventato oggetto di studio anche a livello internazionale.
A rendere unico il ruolo di Danila è la sua capacità di interagire con chi è a fine vita, cercando di rendere anche quei momenti difficili, costruttivi. «All’inizio i pazienti sono scettici, ma spesso è sufficiente una seduta di circa un’ora per capire che le mie parole possono essere di aiuto – spiega Danila -. Il mio è un approccio sistemico che va a scavare nella complessità dei bisogni dei pazienti».
Danila lavora in una unità di cure palliative di Lodi dove ogni giorno accompagna le persone a fine vita ad un distacco meno doloroso. «Mi reco con una frequenza di una volta la settimana dai miei pazienti, alcuni anche molto giovani – spiega – . Intraprendo con loro un percorso di medicina narrativa che li aiuti a far emergere dei bisogni». Possono essere di natura etica o spirituale, o ancora volontà recondite e desideri nascosti. «Faccio venir fuori tutti quei pensieri che ognuno di noi custodisce in fondo al cuore e che spesso restano sepolti laggiù, se non c’è qualcosa che li stimoli ad emergere – prosegue con una delicatezza che colpisce -. Cerco di fare in modo che non debbano lasciare qualcosa in sospeso nel momento del distacco dalla vita terrena».
Il percorso inizia quando i pazienti arrivano all’hospice. «In realtà a volte può essere intrapreso anche precocemente nel momento in cui si scopre la malattia – aggiunge Danila – . Non esiste una regola, ogni caso è un viaggio unico da intraprendere sempre con la volontà di far emergere i sentimenti di chi lo sta percorrendo. Succede spesso che le persone che prendo in carico abbiano una prognosi di alcuni mesi, o di poche settimane. Alcuni sono arrabbiati, altri preoccupati per i figli o per i genitori. Io mi approccio con loro in modo differente, a seconda dei pazienti che ho dinnanzi». Ciò che non deve mai venire meno è il livello cognitivo dei pazienti e la volontà ad intraprendere questo percorso. «Quasi tutti sono favorevoli, perché si rendono conto che non si tratta di una chiacchierata fine a sé stessa, ma di un lavoro strutturato. Per questo i pazienti apprezzano e cercano il mio supporto fino alla morte».
I pazienti scrivono lettere, oppure dei veri e propri testamenti per i famigliari, altre volte invece raccontano la loro vita, o qualche episodio che li ha segnati; in tutti i casi Danila, non potendo prevedere il momento del distacco cerca, al termine di ogni seduta, di chiudere un cerchio. «Non servono troppe domande – ammette Danila – spesso è sufficiente uno stimolo verbale per far scorrere un fiume di emozioni».
«Ogni fascia di età necessita di un diverso percorso strutturato – sottolinea Danila -. I pazienti più giovani hanno un trascorso e un vissuto del qui ed ora diverso rispetto ai grandi anziani, e hanno necessità differenti. Mi è capitato con un paziente di quarant’anni con due bambini piccoli di dover affrontare il tema del lascito morale. Nonostante avesse un supporto psicologico, non aveva mai affrontato neppure con la moglie il tema. Allora insieme abbiamo deciso di scrivere delle lettere per narrare qualcosa di lui in maniera autentica e far sì che i figli avessero modo di ricordarlo. È stato un momento molto toccante».
Dal 2015 Danila accompagna i pazienti al fine vita come un angelo e prima che chiudano gli occhi per sempre li ringrazia. «Ho sempre avuto un rapporto molto forte con la morte e nel centro delle cure palliative la vedi in faccia, tutti i giorni – sottolinea Danila -. In un primo momento è stato difficile e complicato, ma quando ho capito che il mio lavoro faceva bene alle persone, ho scelto di continuare e di non farmi sopraffare dalle emozioni. Non è facile ma oggi sono strutturata».
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