Nonostante le chirurghe siano in aumento, il 50% ritiene di essere stata discriminata ed il 63% considera l’essere donna come un ostacolo alla progressione di carriera. L’intervista esclusiva alla presidente dell’American College of Surgeons, che lancia un messaggio chiaro: «Date alle donne le stesse opportunità degli uomini e diventeranno le protagoniste della disciplina»
La chirurgia è femmina, ma il chirurgo è uomo. Basta farsi un giro a qualche congresso per rendersi conto della predominanza di giacche e cravatte rispetto a gonne e scarpe col tacco. Le cose stanno cambiando, è vero, e la femminilizzazione della professione è sotto gli occhi di tutti: come risulta dal Rapporto SIC (Società Italiana di Chirurgia), nel periodo 2008-2015 il 48,3% degli iscritti alle scuole di specializzazione chirurgiche erano donne. L’associazione Women in Surgery Italia, poi, calcola che tra 10 anni più della metà dei chirurghi sarà donna. Buone notizie, visto che le chirurghe sono più brave degli uomini.
Nelle sale operatorie, tuttavia, oggi la situazione è ben diversa. Come scrive sul Rapporto la presidente di WIS Italia Isabella Frigerio, «il 50% delle chirurghe ritiene di essere stata discriminata nel corso della formazione o professione a causa del proprio genere e il 63% di esse considera l’essere donna come un ostacolo alla progressione di carriera. Solo il 6% degli intervistati (uomo e donna) ha avuto come mentore di chirurgia una donna e ciò dimostra l’importanza di segnare la strada perché altre possano percorrerla».
Oltreoceano, è stata Barbara Bass a segnare la strada. È stata la 39esima professoressa di chirurgia nella storia degli Stati Uniti, la seconda donna a ricoprire la carica di presidente dell’American Board of Surgeons e, oggi, è la terza presidente donna dell’American College of Surgeons. Una carriera fuori dal comune, iniziata 40 anni fa come tante altre colleghe: «Non sapevano letteralmente cosa fare di me – ci ha raccontato quando l’abbiamo incontrata al Congresso congiunto delle società scientifiche italiane di chirurgia -: si chiedevano “Ma la dobbiamo formare? Riuscirà ad arrivare fino alla fine del percorso? E se ha dei figli? Come potrà essere un chirurgo e una mamma e una moglie?”. Che ci crediate o no, si può. Non è facile, ma si può fare. Io mi sono dovuta affidare a quegli uomini che, semplicemente, intendevano trattarmi come i miei colleghi maschi, e sono stata incredibilmente fortunata. Ma può risultare difficile per coloro che non hanno mai visto una donna con queste aspirazioni».
È semplice, allora, il messaggio lanciato dalla presidente Bass a tutti i chirurghi (e non solo): «Non trattate le donne diversamente, offrite loro le stesse opportunità e la stessa preparazione, aspettatevi da loro quello che vi aspettate dagli uomini, favorite le loro carriere. Vi garantisco che diventeranno protagoniste di questa disciplina, proprio come hanno fatto gli uomini per molti anni».
Uomini o donne che siano, gli aspiranti chirurghi hanno un percorso difficile di fronte a sé, motivo per cui è scelto sempre da meno medici. «È dura diventare chirurghi – ricorda Barbara Bass -: dopo una formazione lunga e complessa, il lavoro è estremamente rischioso. Abbiamo solo una possibilità per far le cose per bene, non possiamo dire “proviamo con un’altra medicina”. Ecco perché stiamo sfruttando molto la simulazione nell’insegnamento, che consente di raggiungere un certo livello di competenza prima di entrare in sala operatoria. Insomma – prosegue -, si deve avere una vera passione per riuscire ad affrontare tutto questo. Chi ce l’ha, deve inseguirla e affidarsi a docenti che vogliano veramente formare la prossima generazione. Non tutti i chirurghi sono disposti a farlo, e allora dobbiamo supportare e valorizzare quei docenti speciali che ci tengono particolarmente».
Inevitabile, infine, parlando di formazione, un confronto tra il sistema italiano e quello americano: «Negli USA, i programmi di formazione in chirurgia sono molto strutturati, con curriculum ben definiti e chiari obiettivi da raggiungere ogni anno. Credo che in Italia non sia ancora così. Ecco perché penso che la proposta dell’Acoi (Associazione chirurghi ospedalieri italiani) di creare un Albo dei chirurghi europeo che assicuri un controllo maggiore della preparazione sia una cosa positiva ed importante».