L’ultimo apparecchio è stato installato al Policlinico di Catania. La macchina moltiplica fino a 10 volte la normale visione dell’occhio umano e permette maggiore precisione. Artibani (SIU): «Professione chirurgica rivoluzionata da nuove tecnologie»
L’hanno chiamato Da Vinci, come il grande genio toscano del Rinascimento che tra i suoi campi di interesse annoverava anche l’anatomia. E ora sta rivoluzionando la chirurgia. Con l’installazione del centesimo robot Da Vinci, al Policlinico di Catania, l’Italia raggiunge la Francia come nazione leader in questo campo. I dati parlano chiaro: nel 2017 nel nostro Paese sono stati ben 18mila gli interventi di chirurgia robotica, di cui quasi 12mila in ambito urologico. Una crescita che sta di fatto riducendo il ricorso alla laparoscopia, ormai superata da questa tecnologia: il Da Vinci permette una visione tridimensionale immersiva in grado di moltiplicare fino a 10 volte la normale visione dell’occhio umano, una maggiore facilità di accesso alle anatomie più complesse, una precisione maggiore e anche una diminuzione del tempo di degenza e degli effetti collaterali. Resta insostituibile però la presenza umana: il chirurgo gestisce l’operazione da una console quasi sempre a due postazioni. La tecnologia minimizza l’impatto del tremore fisiologico delle mani, il carrello del paziente è fornito di quattro braccia movimentabili e interscambiabili e dell’attrezzatura che consente libertà di movimento su 7 assi e una rotazione di circa 540°. Il robot diventa dunque uno strumento che amplifica le mani del chirurgo, migliorandone notevolmente la precisione.
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Nonostante l’alto costo di questa tecnologia, circa 3 milioni di euro, la mappa dell’Italia sta diventando sempre più omogenea: i 100 Da Vinci sono ormai in tutte le regioni, con una netta prevalenza al Nord: la Lombardia ne ha più di tutti, ben 22, poi la Toscana con 13 e il Veneto con 12. Più rari al Sud, con Basilicata e Calabria che ne hanno uno a testa. Ma la tendenza ormai è questa.
«Questo sistema – spiega Walter Artibani, Segretario Generale della Società Italiana di Urologia e Direttore dell’Unità Operativa di Urologia dell’AOU integrata di Verona – è un sistema cosiddetto ‘master-slave’, cioè padrone-schiavo, in cui il chirurgo è ancora quello che comanda il gioco perché, seduto alla console, comanda i vari strumenti: pinze, forbici, ecc. Nell’ambito urologico c’è grande indicazione in tutta quella che è la chirurgia oncologica: prostata, rene, vescica e anche in quella che è la chirurgia ricostruttiva oncologica. Negli USA nel 2005 su 105mila interventi eseguiti su prostata, rene e vescica il 70% erano in chirurgia aperta e il 30% in chirurgia robotica. Nel 2017, tra gli 88mila interventi, il 31% è stato in chirurgia aperta, il 69% in chirurgia robotica. C’è stato un rovesciamento. La chirurgia aperta è ormai limitata a casi complessi. È cambiato il concetto di chirurgia in generale: sempre più la sala operatoria assomiglia alla sala comandi di un aeroplano ed è completamente diverso dal concetto di bisturi, ago e filo che si aveva in precedenza. È tutto più tecnologico».
Il costo del Da Vinci non sembra impedirne la sostenibilità, almeno per i centri che svolgono un certo numero di operazioni all’anno (circa 200): i tempi di degenza dei pazienti operati con il robot crollano e anche chi, ad esempio, viene operato per un intervento di prostatectomia dopo due giorni può essere già dimesso, permettendo non solo un beneficio in termini di salute ma anche un risparmio in termini di posti letto.
La Tecnologia Da Vinci non è nuovissima, nasce nel 2000 in ambito militare. Il primo intervento è avvenuto in Germania nel 2000. Oggi in tutto il mondo ne risultano installati 4400 e dopo gli USA, con 2862 robot, c’è l’Europa, con 742. In Italia nel 2017 sono stati realizzati 17462 interventi con il robot, +16% rispetto al 2016. In Italia questo tipo di chirurgia viene usata soprattutto in ambito urologico, mentre nel mondo prevale l’uso ginecologico. Naturalmente, puntare su queste tecnologie significa puntare sulla formazione: per usare il Da Vinci servono circa 30/40 sedute di formazione.
«La robotica è destinata a togliare sempre più spazio alla chirurgia a cielo aperto e alla chirurgia laparoscopica – spiega Vincenzo Mirone, Responsabile Comunicazione della Società Italiana di Urologia e Direttore della Scuola di Specializzazione in urologia dell’Università degli Studi Federico II di Napoli – Il futuro della chirurgia va verso i robot. Il robot è uno strumento che amplifica le mani del chirurgo. In Italia il 67% degli interventi in chirurgia robotica è svolto da urologi perché la chirurgia robotica è proprio nata per la prostatectomia radicale, è l’intervento che si fa quando il paziente ha il cancro della prostata. In Italia ci sono 36mila nuovi casi di cancro della prostata con 7 mila decessi, per mortalità è il primo tumore nel maschio. Avere una chirurgia che permette un intervento di radicalità nella chirurgia prostatica è stato un enorme vantaggio. Il robot è in grado di amplificare dieci volte l’immagine, quindi un nervo diventa quasi come una penna. Questo permette di salvaguardare il nervo dell’erezione e anche l’uretra».