Giuliano (Simpe Campania): «Sbagliato colpire l’istruzione, l’impatto delle scuole nei contagi è minimo». Mele (Simpe nazionale): «Atto dovuto, ma evitare che la chiusura della scuola generi ulteriori occasioni di assembramento»
Alla fine è arrivato, puntuale dopo aver sfondato il muro dei mille positivi giornalieri, il giro di vite annunciato dal governatore della Campania Vincenzo De Luca per contrastare la seconda ondata di coronavirus: nella serata di giovedì scorso la firma dell’ordinanza che prevede la chiusura di due settimane per le scuole di ogni ordine e grado e degli atenei (tranne per il primo anno) in tutta la Regione. Poi, il giorno successivo, il dietrofront su scuole dell’infanzia e nidi, che resteranno quindi aperti.
Una decisione, quella di sacrificare almeno momentaneamente le attività scolastiche in presenza, sicuramente sofferta ma altrettanto impopolare, che ha scatenato il disappunto, oltre che dei genitori, anche delle istituzioni, in primis del ministro dell’Istruzione Lucia Azzolina, secondo la quale si configurerebbe un conflitto di competenze Stato/Regioni. Una decisione, inoltre, che divide l’opinione pubblica e suscita pareri diversi, anche all’interno delle stesse organizzazioni, come nel caso della Società Italiana Medici Pediatri (Simpe).
Per la presidente della Simpe Campania, Maria Giuliano, infatti, le misure restrittive decise dal governatore De Luca sarebbero, oltre che ingiustificate sul piano sanitario e di prevenzione, assolutamente deleterie da un punto di vista sociale ed educativo. «Gli studi hanno dimostrato che l’impatto delle scuole nella diffusione dell’epidemia è, in percentuale, trascurabile. Anche perché le scuole hanno messo in atto protocolli e misure di sicurezza efficaci. Viceversa, rappresentano un problema tutte le occasioni, come feste e vita sociale, che possano dar vita ad assembramenti».
Ed è evidente che, se bambini e ragazzi non frequentano la scuola, sale la probabilità che si incontrino per strada, a gruppi, che si riuniscano in casa, generando situazioni molto più a rischio rispetto al frequentare la scuola.
«Quel che è certo – continua Giuliano – è che la didattica a distanza produrrà delle lacune formative enormi in una intera generazione. Nella nostra Regione il problema andava affrontato a monte: perché colpire la scuola, quando è evidente che il settore trasporti è atavicamente in affanno, ed è proprio su autobus e metro affollate che il virus trova terreno fertile? Perché colpire la scuola se la gestione dei rifiuti lascia ancora a desiderare e si sa che i rifiuti per strada sono correlati alla diffusione delle epidemie?».
Secondo il presidente Simpe nazionale Giuseppe Mele, invece, «la decisione in questione era probabilmente un atto dovuto visti i numeri degli ultimi giorni in Campania, e non è escluso che le altre Regioni più duramente colpite dal virus possano, nei prossimi giorni, stabilire le stesse misure. I bambini e i ragazzi, proprio perché spesso asintomatici, rischiano di diventare veri e propri untori».
Ma anche per Mele, tuttavia, il pericolo più grande è rappresentato da tutte quelle attività che i ragazzi faranno anche e soprattutto perché non andranno a scuola. «È evidente – continua Mele – che se poi i ragazzi si incontreranno coi loro amici al pub, siamo punto e a capo. Ma sono sicura che De Luca avrà pensato anche a questo. Un altro aspetto molto importante della questione – aggiunge – è la necessità di attuare dei correttivi sociali ed economici affinché queste misure sanitarie non gravino troppo sul bilancio delle famiglie. Bisogna insomma riconsiderare per intero il mondo del lavoro e le sue dinamiche – conclude Mele – favorendo e aumentando, innanzitutto, il ricorso allo smart working».
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