Salute 24 Novembre 2020 11:59

Cifaldi (Cisl Medici Lazio): «Se continuiamo così, la sanità pubblica chiuderà»

«Le persone sono costrette oggi ancora di più a mettere le mani al portafoglio. Ma il costo della vita aumenta, la disoccupazione cresce e la povertà e il disagio, specie nelle periferie, stanno aumentando»

di Vanessa Seffer
Cifaldi (Cisl Medici Lazio): «Se continuiamo così, la sanità pubblica chiuderà»

Gli ospedali in buona parte sono stati convertiti per accogliere i degenti Covid. I medici e gli infermieri continuano ad avere scarse dotazioni in termini di dispositivi di protezione individuale antivirus. Ogni giorno il numero dei professionisti che si infettano aumenta a dismisura e i medici morti in Italia sono ormai oltre 200. Ai medici che svolgono compiti di igiene e sanità pubblica viene anche chiesto di sopperire alle carenze organizzative direzionali e alla carenza di altre figure professionali. Risultati dei tamponi che arrivano in ritardo, o che si perdono senza averne più notizia, per cui iniziare a curarsi giorni e giorni dopo in caso di positività diventa più arduo. Tracciamento fallimentare e quasi inesistente. La medicina del territorio è allo stremo delle sue forze. Si sono chiusi ospedali ma il cancro e le patologie cardiovascolari non sono andate in vacanza.

Insomma, il quadro non è dei più rosei. E nel Lazio, dove comunque la situazione sembra essere migliore rispetto a tante altre Regioni, la Cisl Medici denuncia: «Si è scelto di fare una programmazione senza un confronto con le organizzazioni sindacali della dirigenza medica e sanitaria, visto che il nostro assessorato alla sanità, almeno per quanto riguarda l’interlocuzione con i medici, è di fatto assente» sostiene Luciano Cifaldi, oncologo e segretario di Cisl Medici Lazio.

Segretario, perché avete ritenuto di dover scrivere che l’assessore alla sanità del Lazio D’Amato è “un uomo solo al comando”?

«Perché evidentemente l’assessore non ha ritenuto di dover accogliere le nostre istanze, richieste che facevamo da tempo in forma propositiva. Oggi lui dice che aumenterà la sorveglianza sanitaria, noi rispondiamo che “era ora”. Ma a livello nazionale abbiamo contato oltre duecento medici morti e 14 mila contagiati fra i professionisti della salute. Il 70% di questi sono infermieri».

Voi avete sollevato la problematica dei dispositivi di protezione individuale sin dall’inizio della pandemia.

«Non siamo stati ascoltati, siamo però entrati nel tecnico: prima gli organismi internazionali dicevano che le mascherine non servivano a nulla, poi che bisognava metterle, ma bisognava mettere quelle omologate col marchio CE. Poi anche questa pretesa è stata superata da un giorno all’altro e si possono indossare anche tutte le altre. E meno male che sono state sequestrate tonnellate di mascherine “taroccate”».

Qual è il pericolo dietro a questi comportamenti così contrastanti?

«La situazione può avere risvolti estremamente pericolosi. Noi presumiamo di essere protetti dalle mascherine, però se non c’è un’analisi merceologica di dettaglio e un’autorizzazione da parte dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS), rischiamo di indossare un dispositivo di protezione che poi in realtà non ci protegge».

Con la Regione Lazio la Cisl confederale, e le componenti dei Pensionati, della Funzione pubblica e della Cisl Medici Lazio avete raggiunto un accordo riguardante le Residenze Sanitarie Assistenziali.

«Speriamo che venga rispettato a cominciare dalla valorizzazione del patrimonio edilizio delle aziende pubbliche e di non fare subito ricorso al privato. Anche perché l’azione di certe direzioni generali, oltre ad una scarsa propensione alla programmazione e ad una incapacità di ascoltare i lavoratori, appare caratterizzata da una particolare attenzione verso gli aspetti edilizi. Allora quello che vorrei dire è che possiamo anche rinnovare i nostri ospedali, possiamo costruire piattaforme, nuove aree, rendere operative quelle parti degli ospedali che sono oramai fatiscenti, ma non ci dimentichiamo che siamo prima di tutto carenti di personale e che in carenza di personale non si fa buona sanità».

Come ci siamo potuti ridurre in questo modo? In ogni specialità i numeri dei medici e del personale sanitario è sempre più esiguo.

«Perché c’è un precariato importante, perché ci sono contratti a Partita Iva, perché c’è una migrazione fuori dall’Italia che deriva da una programmazione inesistente, almeno negli ultimi quindici anni. Ma come Cisl Medici, a vari livelli, sia nazionale che regionale, abbiamo chiesto l’aumento delle borse di studio per gli specializzandi, ad evitare l’imbuto formativo. Abbiamo chiesto l’assunzione a tempo indeterminato, perché non si può aspettare che le chiamate a sei mesi per gli infermieri e i medici sortiscano poi effetti positivi. Abbiamo chiesto l’aumento delle ore degli specialisti ambulatoriali interni; abbiamo chiesto di chiamare dalle graduatorie che sono esistenti oggi, ma di chiamare a tempo indeterminato. Se continuiamo con questa carenza di personale si finirà per chiudere la sanità pubblica».

In che senso si potrebbe chiudere la sanità?

«La sanità si sta tenendo in piedi con lo spirito di abnegazione degli operatori e grazie ai loro crescenti sacrifici. È un dato di fatto e lo confermo in prima persona. Sono oncologo, l’oncologia non si è mai fermata come non si è mai fermata la dialisi, e tanti altri servizi. Però le persone sono costrette a stare in lista d’attesa e sono costrette oggi ancora di più a mettere le mani al portafoglio. Il portafoglio in queste situazioni non dovrebbe contare, ma se continuiamo così prima o poi ci si ritroverà con un portafoglio vuoto. Perché il costo della vita aumenta, la disoccupazione cresce e la povertà e il disagio, specie nelle periferie, stanno aumentando. Non troppo tempo fa la Segretaria generale della Cisl Annamaria Furlan ha parlato di periferie come sacche di povertà e luoghi nei quali il sindacato deve essere presente per intervenire in forma di sostegno. Allora dico oggi che come medici stiamo affrontando questa emergenza nel migliore dei modi e soprattutto nella prima linea dei nostri ospedali di periferia. Lo stiamo facendo senza tirarci indietro e dando il nostro contributo con l’orgoglio della nostra professione. Ma come sindacato medico continueremo ad essere pungolo continuo a questa amministrazione regionale ed alle direzioni delle Asl e delle Aziende ospedaliere».

 

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