Firmata da Rezza e Urbani, la circolare del Ministero della Salute illustra a medici e pediatri come occuparsi di pazienti Covid in cura domiciliare. Elencati anche i criteri da adottare e le restrizioni sui farmaci da prescrivere (netto il “no” all’idrossiclorochina) per evitare un aggravarsi della malattia
Trasmessa a medici e professionisti sanitari, è arrivata la circolare ufficiale del Ministero della Salute su “Gestione domiciliare dei pazienti con infezione da Sars-CoV-2“. Le firme in calce sono quelle del direttore generale Prevenzione Gianni Rezza e del direttore generale Programmazione sanitaria Andrea Urbani.
Nel testo sono contenute indicazioni sui tipi di pazienti positivi a Covid-19 che possono essere assistiti a casa da medici di famiglia e pediatri, con un focus su farmaci e strumenti da utilizzare. Le norme previste a livello nazionale superano alcuni documenti già messi a punto da singoli ordini territoriali.
«Anche in occasione di questa seconda ondata pandemica – specifica la circolare – esiste la necessità di razionalizzare le risorse al fine di poter garantire la giusta assistenza a ogni singolo cittadino in maniera commisurata alla gravità del quadro clinico. Una corretta gestione del caso fin dalla diagnosi consente di attuare un flusso che abbia il duplice scopo di mettere in sicurezza il paziente e di non affollare in maniera non giustificata gli ospedali e soprattutto le strutture di pronto soccorso».
I medici di medicina generale e i pediatri di libera scelta sono quindi chiamati a intervenire, «grazie alla presenza capillare nel territorio e alla conoscenza diretta della propria popolazione di assistiti», a collaborare con il personale Usca per la cura puntuale di tutti i pazienti.
«È largamente raccomandabile – si aggiunge – che, in presenza di adeguata fornitura di dispositivi di protezione individuale (mascherine, tute con cappuccio, guanti, calzari, visiera), i medici di famiglia e i pediatri di libera scelta, anche integrati nelle Usca, possano garantire una diretta valutazione dell’assistito attraverso l’esecuzione di visite domiciliari».
Il documento, prima di disporre le linee guida, divide lo scenario della malattia da Sars-CoV-2 in tre fondamentali situazioni:
Antibiotici, clorochina o idrossiclorochina, e combinazioni antivirali lopinavir/ritonavir, darunavir/ritonavir o cobicistat spiccano tra i «farmaci non raccomandati per il trattamento di Covid-19. In base alle disposizioni dell’Agenzia italiana del farmaco (Aifa), possono essere utilizzati antinfiammatori come paracetamolo o Fans in terapia sintomatica, nonché costicosteroidi ed eparine che vanno impiegati «solo in specifiche condizioni di malattia».
Paracetamolo o Fans (farmaci antinfiammatori non steroidei) «possono essere utilizzati in caso di febbre o dolori articolari o muscolari, a meno che non esista chiara controindicazione all’uso. Altri farmaci sintomatici potranno essere utilizzati su giudizio clinico».
I corticosteroidi non vanno «utilizzati routinariamente», si precisa. «L’impiego di tali farmaci a domicilio può essere considerato solo in quei pazienti il cui quadro clinico non migliora entro le 72 ore, in presenza di un peggioramento dei parametri pulsossimetrici che richieda l’ossigenoterapia».
Sull’eparina, «l’uso di tale farmaco è indicato solo nei soggetti immobilizzati per l’infezione in atto». «Non utilizzare antibiotici – proseguono le indicazioni -. Il loro eventuale uso è da riservare solo in presenza di sintomatologia febbrile persistente per oltre 72 ore, oppure ogni qualvolta in cui il quadro clinico ponga il fondato sospetto di una sovrapposizione batterica, o quando questa sia dimostrata»
Il documento procede a classificare i pazienti Covid “a basso rischio”, che possono quindi essere curati a casa dai medici di famiglia. Per prima l’assenza «di fattori di rischio aumentato come patologie tumorali o immunodepressione» e avere le seguenti caratteristiche:
Il medico di medicina generale o il pediatra di libera scelta assiste il paziente con sintomatologia lieve «coadiuvato da un membro della famiglia». Una valutazione del contesto sociale (condizioni domiciliari generali, presenza di caregiver) deve, pertanto, «essere parte essenziale dell’iniziale valutazione». Ogni membro della famiglia dovrà essere educato su materie di igiene personale, prevenzione e corretto approccio della persona positiva che vive in casa.
Il professionista «deve anche rilevare la presenza di eventuali fattori che possano rendere il paziente più a rischio di deterioramento e, in particolare, è fondamentale considerare e documentare la presenza di comorbosità». La circolare, inoltre, indica sul piano tecnico che, «per rendere omogenea e confrontabile la valutazione iniziale del paziente è importante utilizzare uno score che tenga conto della valutazione di diversi parametri vitali. Uno degli score utilizzabili, anche al fine di adottare un comune linguaggio a livello nazionale, è il Modified Early Warning Score, il quale ha il pregio di quantificare la gravità del quadro clinico osservato e la sua evoluzione, pur dovendosi tenere in conto eventuali limiti legati, per esempio, alla valutazione dello stato di coscienza in soggetti con preesistente deterioramento neurologico».
«Apprezziamo il ruolo cruciale riconosciuto ai medici di medicina generale e ai pediatri di libera scelta – ha commentato il presidente Fnomceo Filippo Anelli – in virtù della capillarità sul territorio e della conoscenza dei loro assistiti; il richiamo al fatto che utilizzino le Usca, secondo il Decreto Legge 14/20 del 9 marzo scorso, come strumento operativo per garantire l’assistenza ai pazienti Covid; la raccomandazione ad operare sempre e solo in piena sicurezza, con i Dispositivi di Protezione adeguati al livello di rischio dei quali devono essere, per Legge, dotati – argomenta Anelli -. Le USCA sono ormai attivate per il 75%: invitiamo le Regioni ad arrivare al numero previsto dalla Legge, istituendone una ogni 50mila abitanti».
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