Salute 28 Marzo 2022 18:11

Composti perfluorurati (PFAS) dannosi per la salute? Il caso del Veneto

Tra Padova, Verona e Vicenza uno dei casi di inquinamento ambientale più clamorosi degli ultimi anni: 300mila persone hanno bevuto acqua contaminata da composti organici perfluorurati. Al momento non esistono limiti nazionali. Cordiano (Isde Veneto): «Si tratta di sostanze estranee, non esistenti in natura e come sostanze artificiali non dovrebbero essere presenti nell’ambiente e nel sangue e nei tessuti umani»

di Francesco Torre
Composti perfluorurati (PFAS) dannosi per la salute? Il caso del Veneto

Con l’acqua non si scherza. Ce lo ricorda il caso PFAS, sigla misteriosa che in realtà nasconde i composti organici perfluorurati, che tiene banco da anni e che ha coinvolto soprattutto l’area di Trissino (Vicenza) in Veneto: sul banco degli imputati è finita l’azienda chimica Miteni, a lungo del gruppo RiMar poi passata al gruppo Mitsubishi, ora chiusa e oggetto di bonifica, che poi è risultata essere l’epicentro dell’inquinamento ambientale che ha messo a repentaglio la salute dei cittadini di un’area dove vivono 300mila persone a cavallo tra le province di Vicenza, Padova e Verona.

A ricostruire la vicenda e a spiegare cosa è accaduto in questo spicchio d’Italia, uno dei tanti dove l’industrializzazione non è andata d’accordo con il rispetto dell’ambiente e della salute, ci ha pensato una relazione della commissione parlamentare d’inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati.

Il legame tra carbonio e fluoro

Per le loro caratteristiche chimiche, in particolare per il legame tra carbonio e fluoro della loro struttura molecolare, i PFAS sono molto persistenti nell’ambiente e quindi contaminano con facilità il suolo, l’aria e soprattutto le acque, sia sotterranee che superficiali. Inoltre – si legge nella relazione – si accumulano nel biota, passando nell’uomo attraverso la catena alimentare, in particolare, attraverso l’uso dell’acqua potabile, ma anche attraverso gli alimenti, sui quali si accumulano, anche in concentrazioni notevoli (soprattutto in uova e carni ma anche in frutta e verdura).

La relazione racconta nel dettaglio uno dei più grossi disastri ambientali degli ultimi anni. Il caso PFAS, in realtà, vanta un precedente illustre a livello mondiale: quello della statunitense DuPont, in Ohio, costretta a risarcire 3.550 richieste di lesioni personali dovute a contaminazione da sostanze chimiche tossiche, episodio che ha ispirato anche il film “Cattive acque”.  La Dupont sapeva ma ha taciuto i rischi e quindi è stata condannata a pagare oltre un miliardo e duecento milioni di dollari tra multe e indennizzi alle persone ammalate.

Ne abbiamo parlato con Vincenzo Cordiano, medico e Presidente di ISDE Veneto, l’Associazione Medici per l’Ambiente, da sempre in prima linea nel denunciare l’inquinamento delle falde acquifere della zona.

Cosa è successo

«La Miteni – ricorda Cordiano – gettava gli scarti di produzione in un torrente che scendendo a valle poi andava a finire nel fiume vicino, inquinando le falde acquifere, le cui acque vengono raccolte nella centrale di Lonigo, dove c’era la centrale che smistava l’acqua potabile a tutta una serie di comuni delle province di Vicenza, Verona e Padova».

Nella relazione della commissione parlamentare si evincono i rischi per la salute: dall’aumento delle malattie cardiovascolari ad un aumento significativo di alzheimer e demenza senile, dall’alterazione della risposta immunitaria alla cancerogenità, con aumentato rischio di cancro del rene e del testicolo. E diversi studi hanno messo in evidenza una correlazione tra elevati livelli di PFAS e maggior severità dei sintomi o mortalità da Covid-19. Tutte malattie il cui proliferare era noto ai medici che operavano sul territorio, come Cordiano, attivo a Valdagno, comune a una ventina di kilometri da Trissino.

E i dati hanno confermato i rischi per la salute: nella cosiddetta Area Rossa si rileva un eccesso statisticamente significativo di mortalità per cardiopatie ischemiche (uomini+17 per cento, donne +14 per cento), per malattie cerebrovascolari (uomini +21 per cento, donne +11 per cento), e, limitatamente al sesso femminile, per diabete (+23 per cento) e per Alzheimer/demenza (+16 per cento), un eccesso statisticamente significativo di prevalenza per Ipertensione (+22 per cento in entrambi i sessi), diabete mellito (uomini +14 per cento, donne +16 per cento), malattie cerebrovascolari (uomini +22 per cento, donne +18 per cento), ipotiroidismo (uomini + 9 per cento, donne +10 per cento) e dislipidemia (uomini +15 per cento, donne +11 per cento).

Ora cosa succederà

«Le falde rimarranno perennemente inquinate perché questi composti sono indistruttibili – spiega Cordiano -. È vero che sta diminuendo la quantità immessa dalla Miteni, l’unica produttrice di queste molecole nel nord est Italia, però c’è ancora la Solvey di Spinetta Marengo (in Piemonte, ndr) che le immette nel Po in grande quantità. L’unico modo per distruggere queste sostanze è incenerirle a 1400 gradi cosa che nessun inceneritore al mondo può fare» aggiunge Cordiano.

Purtroppo, si tratta di sostanze presenti in un numero enorme di oggetti, anche di uso quotidiano: dalle padelle antiaderenti ai missili, dai saponi ai cosmetici ai detersivi.

È nel 2013 che si apre il vaso di pandora: l’origine della contaminazione viene individuata nel mese di marzo 2013 da CNR – IRSA e, successivamente, anche dall’ARPA Veneto, negli scarichi dell’azienda chimica Miteni Spa di Trissino, la quale insediata in area di ricarica di falda, aveva determinato l’inquinamento delle acque sotterranee, proprio a causa della produzione di composti PFAS e, in precedenza, di benzotrifluoruri (BTF) a partire dagli anni 1966-1967, anni in cui è partito l’inquinamento, per una estensione di 180 chilometri, con l’avvelenamento anche dei pozzi di alimentazione delle reti acquedottistiche comprese nelle province di Vicenza, Verona e Padova.

«Per 47 anni le persone hanno bevuto acqua contaminata da queste sostanze e, tranne nella zona rossa dove ci sono dei filtri, le stanno ancora bevendo» aggiunge il presidente ISDE Veneto.

Cosa potrebbe succedere

«Quando nel 2013 la regione annunciò la scoperta di queste sostanze disse che si poteva continuare a bere l’acqua, che non c’erano rischi. Cominciai ad oppormi e ad informare la popolazione. Sottolineai che si trattava di balle, perché queste sostanze sono note per essere cancerogene, distruggono le ghiandole endocrine tra cui la tiroide. Informai la popolazione che esisteva anche un documento dell’ISS del 2012 con un decalogo per il cittadino sugli interferenti endocrini e i possibili danni al fegato, alla tiroide e sulla fertilità. In base a questo documento, era incomprensibile l’atteggiamento della regione».

Nella relazione si sottolinea, tuttavia, che nella normativa italiana non sono ancora fissati i limiti sulle principali matrici ambientali. La mancanza dei limiti ambientali nelle acque di scarico, nelle acque di falda e nei terreni impedisce alle autorità competenti di intervenire per imporre i provvedimenti necessari di bonifica delle matrici ambientali contaminate. Allo stato attuale si può affermare che solo la Regione Veneto, per altro in sostituzione dello Stato, ha fissato sui PFAS, su indicazione dell’ISS (Istituto Superiore di Sanità).

Ma l’ISDE chiede che i limiti all’emissione di queste sostanze siano stanzialmente zero in quanto «sostanze estranee, non esistenti in natura e come sostanze artificiali non dovrebbero essere presenti nell’ambiente e nel sangue e nei tessuti umani» spiega Cordiano.

Zero PFAS

La regione aveva diviso a seconda della concentrazione di queste sostanze in zona rossa, la più contaminata, dove sono stati apposti dei filtri e dove l’acqua è a zero Pfas. I valori di Pfas vanno a scalare nelle altre zone, arancione, gialla, verde e bianca. Tranne che nella zona rossa dove ci sono filtri, nelle altre zone c’è ancora acqua potabile con quantità più o meno grande di Pfas. «Noi diciamo che, ad aeccezione della zona rossa, non si deve bere acqua e tanta gente da anni non usa più l’acqua del rubinetto per bere e cucinare» spiega Cordiano.

Intanto, la provincia di Vicenza ha ordinato alla società Mitsubishi Corporation e alla società ENI Rewind Spa di partecipare alle attività e agli interventi di bonifica del sito, in quanto società che hanno avuto un controllo azionario della società Miteni in un certo periodo di tempo. Nel frattempo, è in corso avanti la corte d’assise del tribunale di Vicenza il procedimento penale i reati di avvelenamento delle acque di falda e superficiali, disastro ambientale e altri reati, tra cui la bancarotta fraudolenta, in cui sono imputati i responsabili della Miteni e i vertici delle controllanti Mitsubishi Corporation Inc. e International Chemical Investors Group (ICIG).

 

 

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