Sono giovani tra i 14 e i 35 anni costretti a lottare contro il cancro, l’Hiv, l’anoressia. Hanno deciso di farlo con la Fondazione B.Live Onlus e alcuni volontari. Ne è nato un giornale e una mostra d’arte per raccontare storie di chi nella vita ha lasciato un segno e chi non ha paura di far conoscere le proprie fragilità
Essere, credere, vivere è il motto dei giovani di B. Live Onlus, la fondazione nata nel 2012 per coinvolgere ragazzi, malati terminali, o con patologie gravi del corpo e dell’anima. Sono circa un centinaio, chi in cura al Niguarda, chi al Policlinico, allo Ieo, all’Humanitas o al San Raffaele per vincere il cancro, per convivere con l’Hiv, inseparabile compagna di viaggio dalla nascita, o ancora per guarire dall’anoressia, quel male dell’anima che corrode il fisico fino a spegnerlo. Tra loro ci sono anche giovani con la fibrosi cistica o con altre malattie rare.
Un popolo, dunque, di ragazzi e giovani adulti, tra i 14 e i 35 anni, costretti a lottare in mille modi: nelle corsie degli ospedali, nella quotidianità, a casa e a scuola, con l’obiettivo di vincere la partita della vita, ma anche di trovare una ragione per farlo senza pietismo o retorica: «Essere adolescenti è un periodo complicato per tutti, perché c’è la necessità di affermare la propria identità nel mondo, se a questo si aggiunge una malattia, si innesca la paura di non essere accettati che allontana dai coetanei e diventa difficile da gestire – spiega Sofia Segre, colonna portante del progetto, che affianca il fondatore, l’imprenditore sociale, Bill Niada, dal 2012 -. La nostra peculiarità è lavorare con aziende e professionisti di vari settori per far sì che i ragazzi possano sentirsi parte di qualcosa di importante e dimenticare la malattia».
Ricostruire il futuro attraverso l’unione, il lavoro e la determinazione è lo scopo, il mezzo o meglio la voce dei B. Liver è il Bullone, un mensile ideato e realizzato dai ragazzi sotto la supervisione del direttore, Giancarlo Perego, firma del Corriere della Sera che nel 2015 li ha incontrati e non li ha più lasciati. «Un giorno sono venuti a farci visita in redazione – ricorda il direttore – e con il loro entusiasmo hanno conquistato tutti. È nata così l’idea di realizzare quattro pagine di racconti e di interviste a chi nella vita ha lasciato un segno. Il nostro giornale racconta storie di persone che si sono messe in gioco e che hanno fatto la differenza in diversi ambiti, che sono impegnate nella lotta e nella ricostruzione».
La riunione di redazione permette ai B. Liver di dialogare, confrontarsi, conoscersi e costruire il timone del giornale. «E’ un momento importante, in media partecipano in 60, oggi da remoto è anche più coinvolgente perché permette a chi è in isolamento di essere comunque presente – spiega Perego -. Sono un volontario, faccio il direttore di questi ragazzi e vi assicuro che è l’esperienza professionale più intensa che abbia mai avuto. Con loro nulla è impossibile, hanno intervistato personaggi del jet set internazionale, come grandi luminari della scienza. Chi si imbatte in questa avventura ne esce cambiato, di sicuro arricchito».
Tra i nomi celebri raccontati e intervistati dai B. Liver nei sei anni di attività ci sono, tra gli altri, Giorgio Armani, Kerry Kennedy, Isabel Allende, Marina Abramovic e Dacia Maraini. «Questa attività serve ad esorcizzare la paura e guardare con fiducia e ottimismo al futuro – riprende Sofia Segre che prima di imbattersi nei ragazzi B live era cooperante in giro per il mondo –. Insieme progettiamo e facciamo esperienze che aiutano a rafforzare l’autostima e a rivedere le priorità della vita. Esiste un rapporto di reciprocità. Noi non ci occupiamo dell’aspetto clinico terapeutico perché i ragazzi arrivano da vari ospedali, ciascuno è seguito dai propri medici, ma li coinvolgiamo in progetti e loro con orgoglio, professionalità e amore producono e si dimenticano della malattia. Già quella scomoda compagna di viaggio che per alcuni è passeggera, per altri invece una situazione acquisita dalla nascita senza un perché. Sa quanti sono i ragazzi che nascono affetti dall’Hiv? Solo a Milano e provincia sono oltre 800, costretti a vivere con questa spada di Damocle sulla testa. Con la Fondazione trovano uno stimolo per realizzarsi e rafforzare l’autostima». Il Bullone è un mensile con una tiratura di 4mila copie distribuite gratuitamente negli ospedali, nelle associazioni amiche e a coloro che fanno donazioni alla Fondazione.
Qualche volta capita che qualcuno sia costretto a fermarsi, ma il lavoro fatto sopravvive alla morte, come è accaduto per Eleonora e Alessandro, due giovani cronisti de Il Bullone che hanno terminato la loro corsa, ma il ricordo di quanto hanno dato al progetto, ai compagni di viaggio e alla società è sopravvissuto. Anche a loro è stato riconosciuto lo status di giornalisti dall’Ordine della Lombardia. «L’aspetto psicologico è fondamentale per sconfiggere o tenere sotto controllo la malattia – continua Sofia Segre -. A quaranta ragazzi è stato consegnato il tesserino di giornalista pubblicista ad honorem. Un traguardo che li gratifica e certifica il grande lavoro fatto».
Della malattia non parlano mai, ma a volte raccontano la loro esperienza in un servizio giornalistico o con l’arte come è accaduto con Cicatrici, un progetto partito nel 2018 che ha coinvolto il Politecnico di Milano e un laboratorio di stampa in tre D, Più Lab. «Tutti noi dipendenti, volontari e malati ci siamo chiesti quale fosse la nostra cicatrice più profonda, qualcosa che nella vita ci aveva segnato e cambiato – spiega Sofia -, poi abbiamo individuato due statue, espressione della bellezza, la Venere di Milo e il David di Donatello e ne abbiamo fatto fare la stampa in 3D in 42 esemplari per poi rivestirli con le nostre cicatrici. La bellezza è diventata fragilità e abbiamo realizzato una mostra dapprima esposta alla Triennale di Milano e poi itinerante: da Catania a Madrid fino ad Amsterdam». Il lockdown ha fermato il viaggio, ma non il progetto che oggi è ripartito. «Questa volta con i ragazzi abbiamo individuato le cicatrici che il Covid sta lasciando sulla città di Milano e con il supporto di un gruppo di aziende e di alcune fondazioni abbiamo fatto realizzare otto statue alte due metri che dal 26 al 31 ottobre saranno esposte alla Triennale con le cicatrici di Milano. L’obiettivo è dimostrare che le fragilità non vanno nascoste, ma valorizzate per rendere migliori le persone».
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